Ci sono tanti modi per leggere la crisi, una di queste interessa la sfera energetica, oggi più che mai dopo la scelta “naif” del nostro governo di partecipare alle sanzioni contro la Russia, sanzioni che potrebbero risultare gravi per l’approvvigionamento del gas che ci arriva a buon prezzo da quel paese.
Ma le beghe di politica internazionali, spesso arrivano come il cacio sui maccheroni, o il miele sul formaggio, e lo spauracchio del debito pubblico e della mancanza di “propellente” per la nazione, giustificano agli occhi e alle orecchie degli italiani, scelte terribili del nostro politburo.
Tre governi, da Monti a Renzi, che laboriosamente hanno “covato sottocoperta” l’improponibile, insieme a consulenti speciali, lobbysti, multinazionali, banche, ma alla fine è arrivato lo Sblocca Italia e il provvedimento sulle liberalizzazioni per la ricerca petrolifera è diventato decreto.
Ma analizziamo attentamente il decreto: innanzitutto la trivellazione off-shore passano dagli attuali 12 miglia a 5 miglia, praticamente sulla costa, inoltre l’attività di ricerca di idrocarburi è libera nel territorio nazionale e nelle zone del mare territoriale. In sostanza si passa ad un regime concessorio unico, che prevede una fase di ricerca al termine della quale, in caso di esito negativo, il titolo cessa, ad una concessione mineraria che prosegue l’attività attraverso le fasi di sviluppo, produzione, ripristino finale. Insomma un regime autorizzativo assai snello, in cui in sostanza, per passare da una fase all’altra, basterà solo ottenere una valutazione d’impatto ambientale positiva.
Ma parliamo di numeri: Complessivamente lo scorso anno in Italia sono state estratte 4,5 milioni di tonnellate di petrolio, circa il 6% dei consumi totali nazionali di greggio. Ma la quantità rischia di aumentare, perché stanno aumentando sempre di più le istanze e i permessi di ricerca di greggio nel mare e sul nostro territorio.
Una ricerca forsennata per individuare ed estrarre le 129 milioni di tonnellate che, secondo le stime del ministero dello sviluppo economico, sono ancora recuperabili da mare e terra italiani. Ma il gioco non vale la candela. Infatti, visto che il paese consuma 80 milioni di tonnellate di petrolio l`anno, le riserve di oro nero made in Italy, agli attuali ritmi di consumo consentirebbero al nostro paese, di tagliare le importazioni per soli 20 mesi.
Scrive Greenpeace “Programmi che fino ad oggi prevedono valutazioni di impatto ambientale carenti e inaccettabili, tra poco, con l’entrata in vigore dello Sblocca Italia, elimineranno il problema alla radice, lasciando che le trivellazioni off-shore vengano autorizzate senza neanche prendere in considerazione il loro possibile impatto sul mare, una scelta miope che consegna l’Italia ad uno scenario energetico del passato, favorendo il guadagno di poche multinazionali dell’energia e scaricando i rischi sulla collettività”.
Il gioco non vale la candela neanche dal punto di vista occupazionale e neppure per le stime di Legambiente, che dai dati di Assomineraria quantificano la rilevanza economica e occupazionale del settore estrattivo in Italia con un risparmio di 100 miliardi di euro nelle importazioni di greggio dall’estero nei prossimi 25 anni e la creazione di 34mila posti di lavoro. Numeri che non reggono se confrontati con un investimento nel settore della green economy e delle rinnovabili.
Anziché investire nella folle corsa all’oro nero si dovrebbe puntare con decisione sullo sviluppo di efficienza energetica e fonti pulite, un settore capace di creare solo in Italia dai 150 ai 200 mila posti di lavoro entro il 2020 e capace di traghettare il paese verso un’economia a basso tenore di carbonio, una trasformazione necessaria, visti gli obiettivi vincolanti degli accordi internazionali sui cambiamenti climatici, a partire da quello Europeo fissato per il 2020 (20% risparmio energetico, 20% produzione da fonti rinnovabili, 20% riduzione emissioni di CO2).
Ma allora perchè tutto questa solerzia nel varare il provvedimento? Spesso, come si dice, a pensar male ci si azzecca, curiosamente si sottolinea nel decreto come le agenzie di rating siano sensibili a questo genere di provvedimenti: “Si rileva che tra le ragioni che hanno indotto, lo scorso 9 settembre, Standard & Poor’s ad alzare il rating di Israele ad ‘A+’ da ‘A’, c’è stata proprio la decisione del governo israeliano di sviluppare le attività di ricerca degli idrocarburi nelle proprie acque territoriali”. Spiegare agli italiani che c’è bisogno di soldi, di altri sacrifici perchè non sosteniamo il debito pubblico è pericoloso e imbarazzante per chi governa, svendere concessioni e privatizzare mare e monti è più facile, in fondo si rischia “solo” di complicare la vita al turismo, all’ambiente, alla pesca per fare cassa immediata, e quando sentirete parlare di “riforma del Titolo V” della Costituzione, in poche parole, sarà che lo Stato scipperà territori a regioni e comuni dalla gestione di questi beni: acqua, luce, gas, da poter poi vendere…o svendere, le chiameranno “utilities”, ma per chi?.
Aspettando il nuovo slogan degli operatori turistici italiani, non più “balcone vista mare”, ma “vista piattaforma”… buona fortuna Italia!