Nella serata di mercoledì 8 ottobre 2014, presso la clinica veterinaria dell’ Università di Madrid, Excalibur, il cane dell’infermiera Teresa Romero Ramos ricoverata presso l’ ospedale Carlo III della medesima città per aver contratto l’ Ebola assistendo un missionario tornato dall’ Africa, è volato sul ponte dell’ Arcobaleno, ucciso per colpa del virus, ma non dal virus. In realtà la sua uccisione è stata decretata per via giudiziaria della autorità sanitarie spagnole ma nessuna organizzazione scientifica in tutto il mondo si è sentita di giustificare questo atto dandogli una valenza epidemiologica nella lotta alla malattia. Un bel passo indietro ai tempi dell’ Inquisizione, ai tempi della peste o di altre simili epidemie, in cui invece di agire razionalmente si dava la colpa ai diversi, alle streghe, agli ebrei, agli animali immondi, a qualsiasi cosa potesse solo minimamente destare paura e sospetto tanto da meritare la purificazione tramite la morte.
In questi stessi giorni, a Dallas, in Texas, un altro cane è arrivato all’ attenzione delle autorità sanitarie per colpa dell’ Ebola ma, diversamente da Excalibur, è stato, com’è giusto, soltanto messo in quarantena a scopo precauzionale visto che l’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha riconosciuto che non vi è alcuna prova scientifica che i cani possano trasmettere il virus a un essere umano. In Italia l’ AIVeMP (Associazione Italiana Veterinari di Medicina Pubblica) ha ribadito il concetto ed ha dichiarato ufficialmente che i proprietari di cani e gatti possono ritenersi tranquilli a questo riguardo.
La linea guida da seguire è proprio quella di cui è oggetto il cane statunitense, messo in quarantena dal sindaco della città perché appartenente all’infermiera infettatasi assistendo Thomas Duncan, il cosiddetto paziente zero, medico che era appena tornato dall’ Africa in cui era stato a prestare la propria opera. A maggior ragione si trovano sotto isolamento anche il partner dell’ infermiera, che sarà monitorato per tre settimane, ed altre 48 persone tra personale medico e paramedico, che dovranno misurarsi la febbre due volte al giorno per 21 giorni e recarsi in ospedale qualora la temperatura corporea salga o si mantenga oltre i 38,5 °C.
Inoltre, all’ aeroporto Kennedy di New York sono partiti i controlli dei passeggeri provenienti da Liberia, Sierra Leone e Guinea, i tre paesi dell’Africa Occidentale più colpiti dalla malattia. Dopo lo sbarco ai viaggiatori viene misurata la febbre e viene posto un questionario su cosa hanno fatto negli ultimi giorni o settimane. Questo è un vero protocollo di controllo dell’ epidemia, che ha un alto valore scientifico, rassicura e non indigna nessuno.
Ma, già che siamo nel merito, cerchiamo di saperne un po’ di più su questo virus e sulla sua pericolosità.
Che cos’è Ebola?
E’ un virus a RNA (i virus non sono altro che frammenti di materiale genetico e possono essere a DNA oppure a RNA e sfruttano le cellule dell’ospite per replicarsi ed in questo modo causano le patologie; è proprio per il fatto che sfruttano il codice genetico che solo in casi eccezionali si trasmettono e sono patogeni in più specie diverse ed è per questo che è attualmente impossibile che i cani si ammalino e contagino gli uomini). Appartiene alla famiglia Filoviridae perché al microscopio elettronico ha la forma di un filo con la testa annodata. E’ stato scoperto per la prima volta nel 1976 in Congo, sulle rive del fiume Ebola, da cui prende il nome. Il periodo di incubazione della malattia va da 2 a 21 giorni. I sintomi sono febbre, dolori muscolari, vomito, diarrea e sindromi emorragiche.
Come si è propagata l’ epidemia scoppiata nell’ aprile 2014?
Il serbatoio del virus sono le cosiddette volpi volanti, dei chirotteri frugivori (pipistrelli che mangiano la frutta) che abitano le foreste dell’ Africa occidentale. Nel sangue di questi animali il virus replica in grandi quantità senza causare malattia. Qualunque mammifero a sangue caldo si nutra della carne delle volpi volanti oppure venga a contatto con i loro liquidi biologici si infetta e può sviluppare la malattia in diverse forme più o meno gravi. In questo modo si sono contagiate le scimmie, le antilopi e la gran parte degli animali selvatici della zona. Il virus è arrivato all’ Uomo per l’abitudine delle popolazioni locali di mangiare il cosiddetto bush-meat (carne di selvaggina), a base appunto di volpi volanti ma anche di altri animali della foresta. Il fenomeno si è aggravato da quando compagnie occidentali e cinesi sono penetrate nella giungla per il disboscamento e la ricerca di fonti minerali.
Come si trasmette Ebola?
- Baciando una persona malata
- Toccando un qualsiasi fluido corporeo di una persona malata
- Mangiando il cibo di un malato
- Pungendosi con aghi di siringhe infette
- Pulendo un cadavere infetto (la patologia si è diffusa molto anche perché i riti funebri africani prevedono l’attenta pulizia del cadavere e lo svuotamento dell’ intestino prima della sepoltura)
- Tramite i rapporti sessuali (il virus è molto presente nello sperma; in caso di guarigione anche fino a 3 mesi di convalescenza)
Come NON si trasmette Ebola?
- Entrando in contatto con persone senza sintomi
- Viaggiando in aereo
- Attraverso la puntura di una zanzara
Infine, è attualmente riconosciuto che solo uomini, scimmie, primati e pipistrelli possono venire contagiati e trasmettere il virus.
La speranza in un vaccino
Il 3 ottobre 2014 l’ Organizzazione Mondiale della Sanità annuncia che entro dicembre acquisterà diecimila dosi del vaccino italiano anti-ebola e che per il 2015 saranno disponibili un milione di dosi. Il brevetto è dell’azienda italiana Okairos, acquistata per 250 milioni di euro dalla GlaxoSmithKline. Il merito va a Riccardo Cortese, biologo molecolare, il quale sette anni fa iniziò a lavorare sul metodo dei vaccini ad Adenovirus e scelse Ebola perché già considerato il più ostico da combattere. Il virus inattivato dell’ Ebola viene inserito dentro ad un Adenovirus (metodo ChAd3), che negli uomini causa raffreddori e congiuntiviti, e così penetrando nell’organismo il vaccino stimola la produzione di anticorpi protettivi fino a 10 mesi dalla vaccinazione.
L’inizio della prima fase di sperimentazione sull’ uomo è già stato annunciato e questo è uno dei due vaccini su cui l’ OMS ripone più speranze al momento per combattere l’ epidemia di Ebola.