In un epoca in cui, la velocità e la tecnologia, corrono senza sosta e il nuovo e il progresso connotano di inutile e obsoleto tutto cio’ che è passato, che è tradizione che è antico, alcuni riti, popolari e religiosi, sfidano la corsa del tempo giungendo fino a noi, imperituri e immarcescibili, a raccontarci di una civiltà agropastorale che fondava la sua esistenza sui cicli e i riti delle stagioni.
E forse, complice il periodo di crisi economica e di incertezze che si sta vivendo, oggi è molto forte l’esigenza di ritornare alle origini, per riappropriarsi di un contatto piu’ stretto e piu’ intimo con la natura, con un passato che si è avuta troppa fretta di dimenticare, con delle tradizioni che raccontano delle proprie origini, del proprio background, di insegnamenti dimenticati, ma preziosi.
A tal proposito, si è avuto un ritorno alla riscoperta del folclore e dei costumi dell’italica patria, tanto che le celebrazioni legate soprattutto ai momenti religiosi , stanno tornando a nuova vita. E’ il caso della nostra regione, l’Abruzzo, in cui gli antichi rituali e le tradizioni venivano tramandate di generazione in generazione e che tuttora, sfidando il tempo, costituiscono la trama piu’ resistente di una società che custodisce , comunque, la storia dei suoi antenati. Un caso singolare è quello inerente ai riti pasquali, fortemente radicati nel territorio, interessanti non solo da un punto di vista religioso ma anche, e soprattutto, sotto un profilo squisitamente culturale.
La Settimana Santa riveste un significato del tutto particolare e tante, e varie, sono le manifestazioni e i momenti legati a questo particolare periodo dell’anno. Nella giornata del giovedì santo, in molte contrade abruzzesi, risuonano gli inni religiosi de “li passionire”, i cantori della passione, che scendono lungo le vie dei borghi abruzzesi cantando “lu ggiuveddì Sande” accompagnati dalle note de “lu ddu botte” ma anche dalla fisarmonica o dal violino. Queste composizioni hanno origini lontane, pare risalgano al Duecento, e la piu’ antica composizione, la “Lamentatio Beate Marie de Filio”, è conservata nel Museo di Arte sacra de L’Aquila.
La Processione del Cristo morto è uno di quei riti che, incuranti del tempo che passa, sopravvive nel retroterra culturale e religioso degli abruzzesi: la sera del venerdi santo, i simulacri del Cristo crocifisso, della Madonna Addolorata e di Gesu’ deposto nel sepolcro traducono in immagini la Liturgia e fanno da scenografia a tutta la processione.
La città di Atri è sede vescovile dal lontano 1251 e, ancora oggi, è viva la tradizione quaresimale delle Quarantore, pratica risalente al tardo medioevo e nata come riparazione ai peccati perpetrati in occasione del periodo carnascialesco, dove ogni licenziosità ed eccesso erano giustificati. Le Quarantore si praticavano all’interno di tutte le chiese della città ed aveva inizio dalla domenica precedente le Sacre Ceneri. Dopo il Concilio Vaticano II, questa pratica fu circoscritta al venerdi, sabato e domenica per otto turni fino alla Domenica delle palme.
Ma sicuramente una delle tradizioni piu’ curiose e caratteristiche ha come soggetto delle bambole. In molti paesi abruzzesi, la Quaresima veniva rappresentata da una bambola con 7 piedi, simbolo di passaggio e transizione, di cui ne veniva tagliato uno ogni domenica. In alcuni luoghi si raffigurava una bambola di carta, che veniva poi attaccata sotto la cappa del camino, altrove, invece, era rappresentata come una bambola ripiena di dolci, frutta secca e, a volte, soldi e veniva appesa alla finestra. Altre volte, essa, aveva sette penne al posto dei sette piedi, e pendeva sulla via sorretta da una corda tesa da finestra a finestra di due case dirimpetto.
Nel paese di Campli, la pupattola veniva riempita di dolci, frutta secca e soldi e, ad un’ora prestabilita, si faceva a pezzi riversando le sue golosità sulla strada per la gioia di bambini e ragazzi che accorrevano ad arraffare quanto piu’ potevano.
Il simbolo della pupa è vivo soprattutto nel chietino, dove fantocci e bambole apparirono già in tempi lontani, come feticci propiziatori di riti di rinnovamento primaverile. Secondo l’antica usanza, nella giornata di Mezza Quaresima, quando si celebra la “Festa delle pupe volanti” ,mangiare, bruciare o far volare i fantocci , era simbolo di buon auspicio e prosperità in quanto questi avevano il potere di attrarre negatività e spiriti maligni .
Le donne, vestite di abiti tradizionali, appendono le bambole a dei fili e le fanno volare sui luoghi e sui partecipanti che si intende proteggere.
Il rito delle bambole è accompagnato da tre uomini vestiti da vecchie che rappresentano le Parche, divinità capaci di fare e disfare il destino umano.
L’elemento centrale del rito è la bambola con sette gambe, sette lingue e sette piume sulla testa che, a fine manifestazione, viene segata dal piu’ vecchio, a voler simboleggiare il rinnovamento, dopo la purificazione del periodo quaresimale, e il passaggio verso la Pasqua che trasforma in “uomini nuovi”, mondati dal peccato.
La valorizzazione delle tradizioni del proprio territorio puo’ essere un’occasione per il rilancio del settore turistico, con il conseguente introito economico che apporterebbe, oltre ad un arricchimento notevole in termini culturali e di conoscenza, in modo particolare presso le nuove generazioni.