Come ricorderanno bene i nostri lettori, in diversi editoriali ci siamo occupati del problema dell’immigrazione e dell’indifferenza dell’Europa che aleggia intorno ad esso. Sembrava che qualcosa si stesse muovendo nelle coscienze dei nostri governati per poter inaugurare una nuova stagione dell’accoglienza. Sembrava che, finalmente, il dictat imposto dal Regolamento di Dublino, che obbliga le persone a chiedere asilo e rimanere tutta la vita nel Paese di primo approdo, lo stessimo superando, per far posto ad una politica di redistribuzione di quote di migranti tra tutti i Paesi Europei. Ma non né così. Già la Francia, che se la memoria non ci inganna, va considerata la diretta responsabile della destabilizzazione del Nord Africa, avendo spinto per una guerra contro Gheddafi, si è sfilata dall’accettare questa risoluzione, rifiutandosi di accogliere quei migranti che vorrebbero tornare ad essere liberi di poter iniziare una nuova vita.
A fronte di ciò, risulta chiara la fragilità delle categorie del pensiero occidentale il quale, ogni volta che cerca di leggere ed interpretare la realtà del fenomeno migratorio, frena e cade tra due fuochi: il silenzio e l’indifferenza da una parte e i facili populismi xenofobi dall’altra. Di qui risulta chiara la necessità di ricercare nuove categorie di pensiero, che ci consentano di poter leggere e riflettere sui dettagli di un’epoca sempre più complessa. A guidarci in questo nostro tentativo di ricerca, sarà il più illustre studioso di filosofia africana al mondo: Filomeno Lopes.
Originario della Guinea Bissau, attualmente è scrittore e giornalista di Radio Vaticana. Ha studiato a Roma presso le Pontificie Università Urbaniana e Gregoriana. Nella prima ha conseguito il Baccalaureato in Missiologia e Catechesi Missionaria e nella seconda la Licenza in Teologia Fondamentale e il Dottorato in Filosofia e Comunicazione Sociale.
La prima questione che desideriamo porgli dinanzi porta con se tutto il disagio di un’epoca caratterizzata dall’indifferenza e dal rifiuto dell’Altro. Dunque cerchiamo di capire, in quali termini il pensiero africano potrebbe contribuire a riscoprire un nuovo approccio all’Altro e quale chiave di lettura per la realtà può offrirci. “Quella che possiamo definire con Antropologia della collera non è iniziata oggi – spiega Lopes. Essa è iniziata quando gli africani, che hanno vissuto sempre secondo una filosofia per cui l’Altro è necessariamente un fratello o una sorella, sono stati costretti ad entrare dentro una logica in cui la figura dell’Homo oeconomicus comincia a fare il suo trionfo. A questo punto, l’elemento essenziale diventa la ricerca di soldi”. E ancora: “Da quando il denaro è entrato a regolare i rapporti tra le persone, come fosse un Vangelo, ecco che ha avuto inizio il fenomeno della destrutturazione della società africana a partire dai valori tradizionali quali: la famiglia, la scuola e la sanità. Oggi, in Africa solo se hai disponibilità economica puoi permetterti di essere malato e di mandare i tuoi figli a scuola”. Ne consegue che, la domanda sulla quale il filosofo ci invita a riflettere è: “perché la società africana è diventata così e cosa si dovrebbe fare per uscire dalla crisi dei valori tradizionali che il mio popolo sta vivendo, per garantire quel canto del trionfo della Vita sulla Morte, che è stato sempre alle fondamenta di ogni cultura africana?”.
Anche il pensiero africano, quindi, sta attraversando un momento di crisi e di incertezza. Un’instabilità che porta la sua gente a scappare dai propri luoghi d’origine per fuggire dal rischio che essi diventino tombe per i loro corpi e le loro anime. Arrivano a preferire una morte incerta, tentando un viaggio su un barcone della speranza, ad una morte certa. A questo punto, chiediamo come si possa affrontare il problema dell’immigrazione e allo stesso tempo dare una speranza a queste persone, di fronte all’egoismo dell’Europa. La risposta di Lopes è sorprendente in quanto afferma che: “Quello che mi preoccupa oggi, non è il silenzio dell’Europa ma quello della classe dirigente africana, sia dal punto di vista politico che religioso. Questo è un dramma che ha le sue origini all’interno del continente africano. Dunque, la mia domanda come africano è: dov’è la nostra responsabilità di fronte a tutto questo?”. E prosegue: “L’Africa potrà dare qualcosa dal momento in cui riconosce in se stessa una crisi dei valori tradizionali e principalmente quello del culto alla Vita. Inoltre l’Occidente deve sapere, che per noi africani la parola ‘immigrazione’ non è mai esistita. Esiste solo il concetto dell’ospitalità. L’ospitalità per Noi è sacra e differisce dalla solidarietà. Quest’ultima infatti, è qualcosa che facciamo tra Noi che viviamo all’interno dello stesso villaggio o Paese, come fosse una sorta di previdenza sociale”. Ed è con una bellissima immagine che corona la sua spiegazione: “L’ospitalità, invece, ti ricorda che quando sei nato, sei caduto nelle mani degli Altri. Il giorno del nostro arrivo sulla faccia della Terra c’erano già le mani degli Altri pronte ad accoglierci e ad accompagnare la nostra esistenza. Per cui, mai dire che questi sono solo problemi dell’Altro. Dobbiamo cominciare a desiderare anche il benessere del nostro vicino più lontano”.
Questi sono i valori tradizionali che, secondo Lopes, la nostra epoca deve riscoprire. E dunque, la domanda profonda che muove la sua riflessione, non è perché l’Europa non accoglie ma: “perché il continente africano sta costringendo la propria gente a questo esodo?”.
“La Vita – afferma Lopes – è per Noi necessariamente un’immigrazione nella Storia. L’unica vera Terra per un migrante nella Storia è il Mondo. Ecco perché da sempre gli africani non hanno mai avuto problemi di andare ovunque, pur di rendere ragione alla speranza di vivere e testimoniare il canto del trionfo della Vita sulla Morte. L’immigrazione è un modo di essere, uomo o donna; è una conditio umana”. Eppure, di fronte ad un’Italia ed un’Europa, dove tutto ha il suo inizio su un versante politico, risulta complesso concepire che l’immigrazione come una condizione pre-politica. Infatti Lopes continua affermando che: “Il concetto di immigrazione, oggi, dovrebbe essere secondo me ripensato, in quanto conditio umana, proprio perché si è prepotentemente insediata l’idea del ‘questa Terra’ è mia o ‘questo Paese’ è mio e nessuno invece pensa di essere solo un ospite sulla Terra”.
Insomma, secondo Lopes, i primi responsabili del grande esodo sono prima di tutto gli africani, i quali hanno dimenticato il valore ed il significato profondo della parola ospitalità. I castelli di carta costruiti nel periodo dello ius migrandi hanno permesso, non solo alle grandi potenze di arricchirsi ma anche di costringere gli Altri ad essere esclusivamente cittadini del loro Paese, negando a tutti il poter essere cittadini del mondo. Per cui Lopes, si e ci domanda: “Fino a quando il mondo euro-nord occidentale avrà il diritto di impedire che gli Altri possano esercitare il loro dovere di essere cittadini del mondo?”.
Andando più nello specifico sulla situazione italiana e guardando i risultati ottenuti dalla propaganda fascio-leghista, risulta possibile constatare che l’italiano è sempre meno disposto all’accoglienza e all’ospitalità. Guarda l’immigrato sempre con l’occhio del sospetto, mai con quello della risorsa. Infatti, anche Lopes ci conferma che: “In Italia, mentre un 61% della popolazione si dice disponibile all’accoglienza, per l’altro 31%, i migranti sono un pericolo sociale e per la propria identità”. La questione risulta essere, prima di tutto, culturale: “In Italia bisognerebbe gettare le basi culturali e interculturali per riconoscere che queste persone sono anche degli esseri umani – dice Lopes. La maggior sfida qui è quella culturale. Questo Paese deve sapere che vive del lavoro dei migranti e quindi deve necessariamente aprire un dibattito culturale e interculturale, anche a costo di mettere in discussione le proprie radici”.
In un Paese nel quale, all’indomani delle stragi del Mediterraneo, un Ministro dell’Interno dichiara di voler accogliere migranti per utilizzarli come forza lavoro a costo zero, non ha certo con una coscienza protesa all’accoglienza. Lopes ci offre una buona chiave di lettura per interpretare le parole di Alfano, affermando che: “L’Italia è ancora un Paese in cui l’immigrazione è collegata al Ministero dell’Interno, facendone così una questione di sicurezza. Questo perché l’immigrato è ancora considerato un problema, un potenziale assassino e dunque è il Ministero dell’Interno che se ne deve occupare”. E ancora: “Per quanto riguarda Alfano, Egli parla in quanto garante di un simbolo. Per cui, il problema non è ciò che Ministro ha affermato ma di una struttura culturale italiana che è ancora incapace di avere un Ministero dell’immigrazione. Se ci fosse, sarebbe possibile riflettere in maniera distaccata e obiettiva su chi sono realmente queste persone; al contrario ne faremo sempre un problema di sicurezza. La sicuritas oggi viene considerata solo in termini militareschi e non in funzione della dignità umana, atta a promuovere la solidarietà. Noi stiamo ripetendo, a distanza di anni, lo stesso percorso della schiavitù della tratta Atlantica, con la differenza che oggi non c’è lavoro da dare a questa gente. Credo che Alfano sia, in qualche modo, legittimato a dire ciò che ha affermato, su due fronti: da una parte l’effettiva mancanza di lavoro e dall’altra, il mancato riconoscimento della dignità dell’Altro”.
Giunti alla fine di questo viaggio, Filomeno Lopes, ci svela la domanda che farà da mantra al percorso che i lettori saranno pronti ad intraprendere con la lettura del suo ultimo libro, in uscita a breve e che infondo ha accompagnato anche la nostra conversazione: “Se fossi chiamato ad un tavolo per cercare risposte (e non soluzioni) a questi problemi, da filosofo, – dice – quali potrebbe offrire la mia cultura africana?”.