Ci chiediamo se dipingere con le parole sia possibile. Sicuramente, ma questo è privilegio solo di pochi. Tra questi rientra la nota artista e scrittrice Melita Gianandrea che, proprio nella sua ultima opera e primo romanzo intitolato, “La seggiolina Rossa” edito dalla casa editrice KIMERIK, è riuscita ad imprimere su dei fogli bianchi, con la sola forza delle parole, tutti i colori e le sfumature che hanno caratterizzato la sua vita. Un’ultima fatica questa che verrà presentata ufficialmente al grande pubblico in data 25 Giugno presso la Sala Castellani di Porto San Giorgio. A fare da relatore sarà la Dott.ssa Maria Giulia Mecozzi, nonché autrice della prefazione al libro. Interverranno l’Assessore alla Cultura, dott. Renato Bisonni e la celebre penna del Corriere Adriatico, dott. Giorgio Fedeli.
Melita Gianandrea nasce a Vasto, una nota città abruzzese nella Provincia di Chieti ma bene presto si trasferisce nelle Marche, dove vive attualmente e insegna nella scuola primaria.
Già in tenera età comincia a manifestare tendenze poetiche ed artistiche. Proprio per poter maturare e perfezionare la sua innata predisposizione all’arte decide di iscriversi e studiare presso l’Accademia delle Belle Arti a Macerata. Dal 1991 al 1997 ha gestito la galleria d’arte “Le Nuove Muse” a Jesi in provincia di Ancona, dove si è occupata di promuovere concorsi e rassegne d’arte ospitando nella sua galleria artisti prestigiosi ed emergenti ed ora, insegna discipline pittoriche. Ormai, da molti anni, dedica completamente a sua vita alla pittura e alla poesia riscuotendo consensi da pubblico e critica. Le sue opere sono vincitrici di premi ed esposte in mostre nazionali ed internazionali. Opere, che sono presenti anche in molti annuari d’Arte e cataloghi di Rassegne Nazionali Artistiche come: “Annuario di Arte Moderna”, “Rassegna Nazionale di Arti Figurative”, “New Art Collection” e “Who’s who in International Art”. Le sue poesie trovano spazio nelle più note e rinomate antologie di poesia e letteratura contemporanea come: “Parole in fuga”, “Convivio in versi”, “L’amore ai tempi dell’integrazione”. Ha pubblicato anche una raccolta personale di poesia intitolata, “Tra pezze e pizzi”, la quale si è aggiudicata moltissimi premi e riconoscimenti.
Nella vita privata ha quattro figli e quatto nipoti; una numerosa famiglia che gestisce con amore.
“La Seggiolina Rossa” è un viaggio in treno, contro ogni principio della fisica classica, capace di azzerare qualsiasi coordinata spazio-temporale per poter entrare nel mondo di Giulia, quella bambina dalle trecce bionde, tornando indietro nel tempo. Un viaggio nel tempo che prende inizio dalla singolarità di una seggiolina rossa. Momenti di vita che ci si schiudono con descrizioni sempre molto dettagliate, nelle quali ci si perde per poi ritrovarsi, grazie al talento artistico dell’autrice che con notevole realismo ridipinge un tempo ludico fatto di giochi antichi che sanno ancora di legno, erba e terra, come quando “giocavamo alle signore: preparavamo involtini con le foglie grandi e verdi che rubavamo agli alberi circostanti, riempiendoli con i pistilli dei fiorellini che crescevano spontaneamente. Un tempo felice, spensierato nel quale “i bambini andavano da soli, senza timore di incontrare gli orchi del tempo attuale”. Un tempo quello, nel quale “la vita era più spontanea e felice per tutti”. Parole avvolgenti, quelle appena citate, ma che celano tutta l’amara consapevolezza del ‘tutto ha una fine’ e del ‘niente di tutto ciò tornerà più’. Come anche i sapori e i profumi dei cibi riposti nella dispensa o che le nonne offrivano dopo o durante lunghe ore di gioco.
In ogni immagine di vita che l’autrice propone, nonostante il costante mescolarsi di ricordi che ci costringono ai dettami di tempi relativistici, come fossimo all’interno di una macchina del tempo, il lettore difficilmente perde la bussola. “Devo fare una corsa con il tempo: ora il mio temibile avversario è lui!”. Un viaggio che consente alla protagonista di ritornare quella bambina dalle trecce bionde e assolutamente necessario, per poter scoprire sé stessa nell’oggi. “Questo è uno dei momenti in cui la bambina con le trecce bionde, si sente fragile, si perde senza la stretta di mano del suo papà. (…) Per qualche istante perdo la mia identità da adulta, ritorno bimba orfana e spaventata”. In ciò notiamo la straordinaria capacità di guidare il lettore come fosse un pennello che su di una tela imprime differenti momenti di vita, i quali ci riportano ad una leopardiana ricerca del tempo della giovinezza ormai perduta, come fa quella “vecchiarella” ne ‘Il sabato del villaggio’. La ricerca continua di visi dolci e puri, con su stampati sorrisi e sguardi innocenti. “Ero vestita elegantemente, come si conveniva in certe occasioni speciali. I miei capelli chiari e naturalmente ondulati si appoggiavano sulle spalle. La giovinezza abbelliva il mio viso, ero una ragazza allegra, ogni motivo era lo spunto giusto per scrosciare in allegre risate con le mie amiche”. E come dimenticare le sere allegre e spensierate e le prime feste: “Avevo avuto il consenso di mio padre di partecipare alla festa: era un’occasione speciale, e quando questa iniziò, io ero fiera e felice di quel permesso straordinario, ero già pronta per godermela appieno”.
Un viaggio che sembra anche avere la necessità di scrollarsi di dosso tutto il peso della morte e del dolore che irrompono con estrema e cruda consapevolezza quando si è adulti e poter riconquistare quegli occhi pieni di stupore di quando si era bambini. E’ con estrema inconsapevolezza ed ingenuità che infatti, la bambina dalle trecce bionde, affronterà la morte del padre. In tal proposito infatti dice: “Ero la sua bambina, dove era andato senza lasciarmi neanche un bacio? Non conoscevo la legge spietata della vita che comprende la morte”.
Tuttavia, il mondo dei grandi, ben presto però, anzi troppo presto, gli si schiuderà e Giulia conoscerà la violenza per mano di quello che lei definisce il mostro e che costringerà sua madre a subire continui soprusi e Lei, a vivere nel terrore. In tal proposito dice: “Come sempre quel periodo sereno ebbe breve durata, dato che di nuovo si scatenò l’ira di quell’uomo nevrotico e l’episodio che ne conseguì per la mia mente di bambina, fu davvero sconvolgente”. E’ nel distacco con la casa paterna e nella sofferenza “nel vedere e toccare con mano l’infelicità della donna che mi aveva messa al mondo, dell’unico genitore che mi era rimasto”, che la bambina dalle trecce bionde incontra quei “grandi piccoli dolori”, che pian piano faranno breccia nella sua vita. “Mi mancava tanto mio padre e la nonna che con le maniche armeggiava sul lavello. Sentivo la mancanza della mia seggiolina, persino l’odore di mele che proveniva dalla stanza proibita”.
Altra fase importante della sua vita è quella caratterizzata dall’affacciarsi al mondo dell’arte e la scoperta di un mondo umanistico che per Lei diventeranno la Vita; un vero e proprio amore viscerale tanto da riuscire a perdersi tra versioni di latino ed i pensieri dei più grandi filosofi.
All’amore per l’arte e la letteratura si aggiunge l’amore carnale. Un incontro, quello con l’altro sesso, sempre vissuto con intensità e tramite giochi di sguardi e balli in riva al mare. “Da quella mattina iniziò una fantastica, quasi surreale avventura, che ben presto si trasformò in una struggente storia d’amore”. Ma “se tutto ha una fine” l’incantesimo che avvolge ogni cosa, si spezza ed ecco che irrompe di nuovo il dolore. Tuttavia, l’uomo che ha tanto amato e che diventerà il padre dei suoi figli, proprio nel tragico momento della perdita di sua madre, le starà vicino. Una presenza che “quasi mi commuove e mi scalda il cuore”.
Per concludere possiamo citare una frase presa dal ‘bel mezzo del cammin di questa vita’ e che riesce a riassumere in maniera talmente incisiva tutti i tasselli, tutte le figure e tutti i momenti, di dolore e di gioia, vissuti dalla protagonista. “Ho vissuto la mia vita in modo intenso e facendo tutto ciò in cui credevo, accompagnata sempre da grandi attimi di intensa felicità, ma anche da laceranti dolori. Ora tirando le somme, non ho rimpianti: godo dei ricordi che mi vestono e mi coprono come abiti da sera, mi aiutano a vincere la solitudine che probabilmente mi era destinata già dalla mia nascita”.