Da Il Martino cartaceo n.22 del 12.11.2016
A me quello che più ha toccato di queste due vicende è l’impotenza che profughi e sfollati hanno di fronte alla perdita di quello che avevano di più caro e vorrei soffermarmi sul fatto di come ci si possa sentire a perdere tutto, all’improvviso, senza poter far nulla. Ecco, questa è l’impotenza alla quale dovremmo tutti rispondere con più umanità e con meno indifferenza. Questo tipo d’impotenza è la stessa sia il per il ” diverso” e sia per il ” non diverso”.
I profughi scappano da una guerra che si potrebbe evitare, gli sfollati da catastrofi naturali che non si possono evitare. Certo, si potrebbe costruire meglio, come ci si potrebbe arricchire di meno smettendola con il traffico delle armi. Secondo i molti esperti che da qualche anno affollano il web si potrebbero evitare anche le catastrofi naturali manipolando il meno possibile la Terra e lo spazio. Siccome non sono una scienziata, sto zitta al riguardo. Quello però su cui vorrei soffermarmi è la disperazione che si legge negli occhi delle persone e soprattutto in quelli dei bambini. È una disperazione che si può anche sentire se fossimo ancora in grado di ascoltare. È l’ urlo disperato di persone che sono state defraudate della loro vita. È l’urlo impaurito di bambini ai quali le catastrofi naturali e non, hanno storpiato l’ infanzia riducendola ad una manciata di piccoli sogni di speranza che ancora non cedono nonostante l’indifferenza della gente. La speranza è quando loro bussano alle porte di un paese in cerca di accoglienza. Sia i profughi che gli sfollati hanno bisogno di leggere pagine intere di speranza. Non hanno bisogno di sapere i nomi dei colpevoli che siano essi di origine umana o divina. Hanno bisogno di un qualcosa di più semplice, di una mano che con forza e delicatezza, li tiri fuori da quel filo spinato o da quelle macerie e li aiuti a riprendersi un po’ di quella vita che è stata loro tolta e un po’ di quei sogni che la rendevano unica e indistruttibile.
Da quando sono state chiuse le frontiere e da quando sono cominciate le barricate, migliaia di persone vivono in trappola. I profughi che vivono nelle tendopoli e gli sfollati accampati alla meglio nelle tende ed anche nei vari hotel che si sono offerti di ospitarli hanno diritto a condizioni di vita più dignitose. Non hanno più nulla. Molti hanno perso i figli, i genitori e il loro è un unico urlo: l’urlo disperato di chi non si arrende e chiede aiuto per ricominciare.
I profughi e i terremotati sono uniti dalla stessa sorte. Nessun paese che si rispetti può loro negare l’accoglienza. Questi sono giorni di lutto e di macerie dell’anima per chi ha visto crollare la propria casa a causa di una bomba o di un evento sismico di uguale portata. È vero, il nostro è un paese piccolo, ma se ognuno facesse la sua parte, che non ha niente a che vedere con il buonismo, creeremmo posti per tutti.
Si dice che l’Italia è in crisi e non si può permettere di pagare 35 o 40 euro a rifugiato. Tutto questo è in accettabile per un paese come il nostro che aderisce alla Convenzione di Ginevra e a quella sui diritti dell’uomo. Non è che si può trattare su questo. I diritti o ci sono o non ci sono. E questo vale per tutti.
L’Italia è uno dei paesi più popolosi dell’Unione Europea eppure siamo al quarto o quinto posto per accoglienza. Quelli che arrivano sulle nostre coste e poi vengono a bussare alle porte dei nostri comuni, non sono invasori ma persone che fuggono da guerre e persecuzioni. Accoglierli è un dovere come ci ricordano le norme europee e italiane e in primo luogo la nostra costituzione all’articolo 10: ” Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla costituzione Italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Quindi il diritto di accoglienza appartiene a tutti e , indurre i comuni alla non ospitalità, è un fatto improprio e, in nome della Costituzione, rappresenta una evidente illegalità. Abbiamo il sacrosanto dovere di non sbattere le porte in faccia a nessuno e di non fare differenza tra profughi, sfollati e migranti come se si stesse scartando degli esseri umani degni o non degni.
Questa distinzione si alimenta a forza di slogan che agiscono sulle paure delle persone. In questo modo finiremmo col perdere completamente la nostra umanità e capacità di comprendere il dramma altrui. Ed è inutile girarci attorno manipolando le parole. Il diverso ci spaventa. Una volta ci spaventava meno, forse perché gli italiani nel periodo delle guerre vivevano gli stessi drammi. Ora pare che tutti se ne siano dimenticati. Eppure la storia ci ricorda e ci dice di non dimenticare. Invece abbiamo scordato tutto. Il ” diverso ” ora ci spaventa ma se lo conoscessimo, forse, la paura verrebbe meno. Questa è l’integrazione: la conoscenza reciproca. Detto questo vorrei ritornare agli sfollati vittime del terremoto che noi conosciamo e che ci fanno sicuramente meno paura. Ma, ognuno di loro, straniero e non, porta con sé una storia di dolore e di bellezza che vale la pena ascoltare.