FARINDOLA – Nevica ormai da giorni in Abruzzo, un’ondata di freddo glaciale aveva invaso il nostro Paese e gli accumuli sugli Appenini avevano raggiunto anche il metro e mezzo. Numerosi i centri abitati rimasti isolati, a causa dell’inagibilità della rete stradale e dell’interruzione delle forniture di energia elettrica. Il giorno 17 e 18 il bollettino del servizio nazionale di previsione neve e valanghe emesso da Meteomont indicava per l’area della Maiella e del Gran Sasso un grado di pericolo 4 su una scala da 1 a 5. La forte nevicata bloccava la strada che collega il Rigopiano col fondovalle e, nonostante i numerosi appelli, non venne trovata alcuna turbina spazzaneve per liberare la strada e permettere l’evacuazione dell’albergo.
Quel maledetto 18 gennaio di un anno fa, tre scosse, con magnitudo maggiore di 5.0 interessarono il centro Italia: alle ore 10:25 (ML 5.3), ore 11:14 (ML 5.4) e ore 11:25 (ML 5.3); nel pomeriggio alle ore 14:33 una nuova scossa (ML 5.1). Tra le 16:43 e le 16:48 una valanga di neve e detriti di grandi proporzioni si staccava dalle pendici sovrastanti del massiccio orientale del Gran Sasso, tra il Vado di Siella e il Monte Siella, incanalandosi nella Grava di Valle Bruciata, un canalone coperto da un faggeto, sino a raggiungere l’Hotel Rigopiano.
La valanga travolse l’albergo, sfondandone le pareti e spostandolo di circa dieci metri verso valle rispetto alla posizione originaria, e precipitò ancora più a valle interrompendo le vie di collegamento con il paese. Il primo allarme, con l’indicazione dell’avvenuta valanga venne dato alle ore 17:40: si trattava di una telefonata, fatta col cellulare di Giampiero Parete, al suo datore di lavoro Quintino Marcella: “È caduto, è caduto l’albergo!“; quest’ultimo diede l’allarme superando una certa incredulità iniziale da parte dei responsabili dei soccorsi in zona. A causa di questa incredulità, la colonna dei soccorsi partirà solo tra le 19:30 e le 20:00 per quella che si rivelerà una difficile marcia di avvicinamento alla zona del disastro.
Al momento dell’impatto, si trovavano nell’area dell’hotel 40 persone, 28 ospiti, di cui 4 bambini, e 12 membri del personale, da ore bloccate nel rifugio a causa dell’abbondante nevicata. L’allarme fu lanciato da un impiegato e un ospite che si trovavano immediatamente fuori dall’albergo, il primo nel locale caldaia e il secondo presso la propria automobile, rimasti solo marginalmente coinvolti dalla slavina. Tuttavia la macchina dei soccorsi si attivò solo dopo le 19:30, in quanto le prime telefonate non furono considerate attendibili dalla prefettura di Pescara (sia per la confusione generata dal crollo di una stalla avvenuta a Farindola la mattina stessa, sia per le informazioni contrastanti fornite alla prefettura dal direttore dell’hotel che era all’oscuro dell’accaduto, sia verosimilmente per la situazione di emergenza in cui versava buona parte dell’Abruzzo).
Essendo interrotte le vie di comunicazione, ostacolata l’avanzata della turbina spazzaneve dalla presenza di tronchi e detriti mescolati a neve sulla strada, vista la nevicata incessante, e nell’impossibilità di utilizzare elicotteri per il maltempo, i soccorritori della Guardia di Finanza e del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (CNSAS) decisero di staccarsi avanzando con gli sci dalla colonna dei mezzi di soccorso che proseguiva con la turbina spazzaneve, dirigendosi alla volta dell’hotel. Dopo più di due ore di avvicinamento, il gruppo riuscì a raggiungere l’hotel verso le quattro del mattino, soccorrendo i due superstiti, un ospite ed un impiegato dell’albergo, che nel frattempo avevano trovato rifugio in un’autovettura. Iniziarono quindi le ricerche, che portarono al ritrovamento della prima salma. Solo verso mezzogiorno la colonna motorizzata dei mezzi dei soccorsi riesce a raggiungere l’hotel.
Il 20 gennaio la bella notizia, l’unica purtoppo: attorno alle 12:00 e dopo oltre 30 ore furono trovati 6 sopravvissuti nel locale cucine, salvati da un solaio e localizzati anche grazie alle indicazioni di uno dei superstiti che volle ritornare sul luogo per aiutare la ricerca dei sopravvissuti. In tutto vennero recuperate vive nove persone intrappolate nell’edificio, cinque adulti e quattro bambini; gli ultimi superstiti vengono estratti 58 ore dopo la caduta della valanga.
Terminate il 26 gennaio le operazioni di ricerca, delle 40 persone che si trovavano nel rifugio, il bilancio finale sarà di 29 vittime e 11 superstiti. I risultati delle autopsie hanno mostrato che quasi tutte le vittime morirono per traumi a seguito dell’impatto della valanga e asfissia e non per ipotermia. Una delle vittime, in base all’analisi dei messaggi contenuti nel telefono cellulare, sarebbe tuttavia sopravvissuta per oltre 40 ore dopo la valanga.
Una storia di errori, incomprensioni, sottovalutazioni, quella di Rigopiano. Una storia di coraggio, eroismo e determinazione, quella dei soccorritori. La valanga di Rigopiano è molte cose. Un dramma che si aggiunge alle (troppe) calamità che hanno colpito la nostra regione.
“Ho mangiato un po’ di neve ma l’ho sputata subito, era mista a chissà cosa, aveva un sapore orribile. Provavo a chiamare Valentina, ma non mi rispondeva. Pensavo a Gaia ma non avevo minimamente idea di quel che era successo, sembrava la fine del mondo. Ad un certo punto mi sono sentito soffocare, con i denti ho fatto una specie di buco sulla maglietta e sono riuscito a strapparmela, non respiravo. Ho sognato di lavorare, di essere qui in pasticceria e di essere chiuso in quel frigorifero e sai perché? Perché lì teniamo l’acqua e io avevo sete“. A parlare alll’Ansa è Giampaolo Matrone, l’ultimo sopravvissuto dell’hotel Rigopiano: lo hanno tirato fuori dopo 62 ore, ha subito 5 interventi al braccio e alla gamba.
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Vuoi sapere se avevo capito che Valentina era morta? L’ho saputo un’ora dopo essere uscito di lì ma lo immaginavo. Anche perché per tutte quelle ore l’ho avuta accanto a me, la vedevo come fosse un angelo, mi ha dato la forza per rimanere in vita e tornare da Gaia“.
“Ma c’è stato un momento in cui hai capito che eri salvo?” gli chiede il giornalista. “Vuoi la verità? No, non c’è stato. Non ricordo neanche le facce di chi mi ha salvato. Quando li ho visti ho chiesto subito di Valentina e loro mi hanno detto che stava al caldo, per non farmi mollare. Io pensavo solo a Gaia, dovevo tornare a casa da lei, sono rimasto aggrappato alla vita per riabbracciarla e non lasciarla più“. “Ringrazierò sempre chi mi ha salvato, quegli uomini e quelle donne che hanno scavato per ore rischiando la vita. Ma non ringrazierò mai i Corpi a cui appartengono” continua Matrone.
C’è comprensibile rabbia nelle sue parole, c’è dolore. Il dolore di una regione intera. “Forti e gentili” sì, ma fino a che punto? Facciamo in modo, tutti insieme, che i 29 angeli di Rigopiano non siano morti invano, che l’Abruzzo non pianga più di queste vittime! Si rispetti la natura, si impari a convivere con essa, si dia giustizia a chi ha pianto troppo… e non si dimentichi mai questa tragedia!