TORTORETO – Vicenda a tinte fosche all’interno della Caserma. Lo scorso anno, un appuntato scelto con alle spalle una lunga ed onorata carriera, è stato coinvolto, insieme a tutto il suo nucleo famigliare, in un’indagine su un presunto giro di spaccio. È stato accusato di favoreggiamento nei confronti del principale indagato, un albanese, finito poi in carcere, ritenuto il vertice di un traffico di droga in Val Vibrata. Il carabiniere gli avrebbe passato informazioni d’ufficio, al fine di proteggerlo dalle indagini.
Il militare si è difeso sostenendo di essere innocente e che contro di lui è stato montato un complotto. Si è rivolto ad un sindacato dell’Arma, l’Unac, Unione nazionale Arma dei carabinieri, che ha subito preso le sue parti. La difesa è passato al contrattacco ed ha denunciato irregolarità nelle indagini, costruite con prove inquinate o contraffatte. Nel gennaio di quest’anno, è stato presentato un esposto alla Questura di Teramo, poco dopo arricchito da un’integrazione. In tutto 15 militari e 2 magistrati vengono querelati. Il fascicolo viene inoltrato alla Procura di Campobasso, per competenza, ed al Consiglio Superiore di Magistratura.
L’Unac diffonde due comunicati al vetriolo, nei quali è possibile leggere: <<doveva essere l’inchiesta del secolo, è una bolla di sapone. Mesi e mesi di intercettazioni, pedinamenti, indagini satellitari e interrogatori, non hanno portato a nulla. Nessun sequestro di droga>>. Ed ancora: <<è emerso il complotto. Indagine inquinata e prove costruite con dolo specifico da un sodalizio di carabinieri con la complicità di due magistrati>>.
L’inchiesta è nata nel febbraio del 2017. Un uomo di origine albanese, residente a Tortoreto dove gestiva un bar, viene arrestato dai carabinieri. È in possesso di una modica quantità di cocaina, circa 3 grammi. Per gli inquirenti, gestisce un traffico di droga in Val Vibrata. Questa persona manteneva rapporti di cordialità con l’appuntato coinvolto dalle indagini.
Le perquisizioni non conducono a niente di concreto. Nonostante le indagini si allarghino, non avvengono ulteriori sequestri di stupefacente. In tutto, oltre all’arresto dell’albanese, poi trasferito ai domiciliari, cinque persone vengono sottoposte all’obbligo di dimora e firma, tra le quali l’appuntato. Mesi dopo, anche un poliziotto, in servizio nelle Marche, viene risucchiato dall’inchiesta. Pure le accuse nei suoi confronti sono gravi. Avrebbe nascosto nella sua abitazione di Tortoreto 40 chili di marijuana. Nonostante la gravità degli addebiti nei suoi confronti, è rimasto in servizio per quasi un anno.
Le indagini poggiano soprattutto su diverse intercettazioni, telefoniche ed ambientali. Queste intercettazioni però, vengono contestate dall’accusato. O meglio, le loro trascrizioni. Sostiene che sia i dialoghi in albanese, tradotti in italiano, sia quelli in italiano, sono stati riportati in maniera diversa, alterata in maniera tale da aggravare la sua posizione e quella dell’appuntato. Sostiene perfino di aver ricevuto pressioni affinché mettesse nei guai il militare. Le modifiche sarebbero state apportate da agenti di polizia giudiziaria e il magistrato che ha seguito il caso non avrebbe potuto non sapere. In breve l’albanese viene rilasciato, sottoposto all’obbligo di firma e la sua posizione viene ridimensionata. Cambia anche la valutazione dei suoi precedenti, da incallito pregiudicato, a <<persona quasi incensurata>>.
Intanto i due procedimenti proseguono parallelamente. Nell’inchiesta sul presunto traffico, tutti gli indagati sono stati rinviati a giudizio. Va avanti per la sua strada anche l’oramai ex appuntato. Convinto di essere vittima di una manovra costruita a tavolino, chiede a gran voce che la sua immagine venga riabilitata. Si attendono pertanto gli sviluppi di una vicenda intricata che pare appena agli inizi.