Alessandro Cascavilla, classe
1995, è uno degli economisti più popolari del momento: laureato col massimo dei
voti all’Università Politecnica delle Marche, è il fondatore della popolare
pagina “Economia del Suicidio” che conta oltre 110mila followers e di “Ale.conomista”,
diventando così un vero e proprio “influencer dell’Economia”.
In questo periodo particolarmente
difficile, Alessandro utilizza i social networks per tenere informati
costantemente, soprattutto i più giovani, su quanto sta accadendo in Italia, in
Europa e nel mondo e, oggi, ci ha gentilmente concesso un’intervista per
offrire il suo punto di vista anche ai nostri lettori.
Ciao Alessandro, grazie per
averci concesso questa intervista. Parlaci un po’ di te, del tuo percorso di
studi e del tuo lavoro.
Sono un giovane economista, ho 24
anni e ho scoperto la mia passione per l’Economia alle scuole superiori, da
quando ho iniziato a studiare la Crisi del ’29 in Scienze delle Finanze, le
azioni e le obbligazioni in Economia Aziendale. Ho frequentato la ragioneria,
diplomandomi col massimo dei voti perché mi piaceva quello che studiavo: questo
mi ha portato a capire che avrei dovuto continuare con una carriera universitaria
in Economia e così mi sono iscritto alla facoltà di Economia e Commercio all’Univpm
di Ancona. Mi sono laureato anche qui col massimo dei voti, non è stato facile
ma mi ha arricchito molto, mi ha dato delle buone basi e allora ho deciso di
continuare con un corso Magistrale, sempre ad Ancona, ma in inglese: International
Economics and Commerce. Mi sono laureato lo scorso ottobre con 110 e Lode e,
essendo un corso in inglese, mi ha dato la possibilità di viaggiare: ho fatto
uno stage in Argentina, uno in Olanda. Ho poi conseguito il doppio titolo, il
Master in Economia in Spagna all’Universitat Jaume I.
Appena finita l’Università, ho
deciso di lasciarmi prendere ancora di più dalla passione per l’Economia e ho
quindi iniziato un percorso triennale di Dottorato all’Università di Bari, e a
febbraio ho iniziato a lavorare all’Osservatorio Conti Pubblici Italiani diretto
da Carlo Cottarelli, in cui mi occupo di capire quello che accade nel mondo.
Come sono nate “Economia del
Suicidio” e “Ale.conomista” e com’è diventare una star dei social grazie
all’Economia?
“Economia del Suicidio” è nata al
mio secondo anno di triennale, stavo studiando per l’esame di Macroeconomia e
sentivo il bisogno di dover condividere quello che apprendevo, ma in maniera
abbastanza simpatica. Nel mio piccolo scherzavo sull’economia con i miei amici
di università, ero un “nerd dell’Economia” e vedendo che già esisteva su
Facebook una pagina chiamata “Ingegneria del Suicidio”, ho deciso allora di aprire
“Economia del Suicidio”. Da lì in poi ha avuto una grande crescita, il team si
è allargato e, dopo un anno dalla nascita, è entrato il mio socio Daniele
Vezza, con cui quotidianamente portiamo avanti la pagina insieme a un team di
collaboratori. Mi ha accompagnato per tutta la mia carriera universitaria. Il
fatto di fare contenuti ironici e parlare di economia in modo diverso rispetto
agli altri è stato molto apprezzato dai social.
Per quanto riguarda invece “Ale.conomista”,
è la pagina che avrei sempre voluto aprire. Adesso che mi sento un po’ più
preparato, che non sono più affetto dalla “Sindrome dell’impostore”, cioè il
fatto di pensare di non saperne mai abbastanza, ho aperto la nuova pagina. L’ho
fatto verso la fine mio percorso, a luglio, mentre ero in viaggio per fare l’ultimo
esame in Spagna. Mi sono detto “Provo a buttare fuori tutto quello che ho
imparato!”. Ora la pagina conta quasi 30mila followers, è un altro lato di me
che non potevo utilizzare con “Economia del Suicidio”.
In questi giorni non si fa
altro che parlare del Mes, aiutaci a capire meglio di cosa si tratta.
Il Mes è un organismo
indipendente, non rientra cioè nel panorama istituzionale dell’UE, che può “salvare”
gli Stati della zona euro. È composto dai 19 Paesi che hanno adottato la moneta
unica, ed è stato pensato nel 2012 con il famoso “Whatever it takes” di Mario
Draghi per dire che, in caso di un forte attacco speculativo, sarebbero stati gli
altri 18 Stati dell’euro a garantire il Paese in difficoltà. Tramite il Mes si
può poi accedere alla monetizzazione del debito tramite le OMT della BCE. Il
Mes nasce con questa natura, adesso se ne parla tanto e, soprattutto in Italia,
c’è un’irrazionale isteria. Non è altro che un fondo che, quando un Paese membro
vi chiede l’accesso, valuta la sua condizione macroeconomica, se rispetta le
cosiddette “condizionalità in entrata” e, in base a ciò, la Commissione Europea
e la BCE, e se necessario il Fondo Monetario Internazionale, valutano quale
strumento utilizzare.
Ci sono, ad esempio, i prestiti, che sono quelli più duri e richiedono, da trattato, un aggiustamento macroeconomico. Ci sono poi le linee di credito, che sono quelle di cui si discute tanto: degli strumenti più alla mano che non richiedono alcun aggiustamento ma determinate condizionalità, vengono cioè dati dei soldi solo se si rispettano determinate condizioni, che vanno definite anticipatamente nel protocollo d’intesa, il Memorandum of understanding.
Non è affatto vero che il Mes porta
alla ristrutturazione del debito. Finché non si firma il Memorandum, un
contratto che va negoziato direttamente dal Paese, nella persona del Ministro
dell’Economia, ciò non può accadere. Se il Mes dovesse chiedere di
ristrutturare il debito oppure di perdere sovranità fiscale, si potrebbe
decidere di non ricorrere più a questo strumento.
Cosa sono le OMT (Outright
Monetary Transactions), da molti definite l’asso nella manica della BCE?
Le OMT sono degli acquisti della
BCE a titolo definitivo. Nascono anche loro nel 2012, sempre dopo il “Whatever
it takes” di Mario Draghi. Le OMT non sono mai state utilizzate finora, ma
è bastato dirlo per far stabilizzare i mercati. La BCE, in teoria, non può
sottoscrivere titoli sul mercato primario ma può comprarli sul mercato
secondario, come sta facendo grazie al Quantitative Easing ormai da otto anni.
Quando un Paese perde l’accesso al credito perché i mercati lo reputano troppo
rischioso, e non gli prestano più denaro, il Paese può quindi accedere al Mes e
per dare tranquillità ai mercati, può accedere ai fondi illimitati della BCE.
La condizione necessaria affinché si possano attivare le OMT è l’accesso a una
linea di credito del Mes. Le OMT esistono se coesiste il Mes: il Paese che
vuole l’acquisto diretto dei titoli di stato dalla BCE deve richiedere l’accesso
al Mes, essere approvato, firmare il Memorandum of understanding e chiarire che
c’è bisogno anche delle OMT della BCE.
Cosa pensi delle posizioni dei
politici italiani sul Mes?
Secondo me c’è una grandissima
confusione e tantissima irresponsabilità politica. In un periodo del genere,
tutti i partiti politici dovrebbero smetterla di pensare alla frase che dà più
ritorno elettorale, perché adesso è a rischio la stabilità economica e
finanziaria del Paese. Chi specula politicamente sull’attivazione del Mes sta
creando un danno sociale che fa male a tutti. Penso che ci debba essere un atto
di responsabilità nel valutare economicamente tutte le possibili alternative
che ci sono. Se il Mes può darci fondi fino al 2% del Pil e senza condizionalità,
a condizione che si facciano interventi tempestivi e mirati nel settore
sanitario e se questo può essere fatto tramite una linea di credito valutata come
titolo AAA, col tasso di interesse più basso che esiste sul mercato, sarebbe
economicamente un fallimento non accettare. Penso che, politicamente, alcuni
stiano strumentalizzando tutto ciò. Personalmente, mi dispiace perché vedo che
ci sono molte persone che non hanno studiato Economia e sui social sono vittime
di tale propaganda.
Secondo te l’Italia dovrebbe
ricorrere al Mes?
Come risponderebbe un economista,
dipende. Ciò che è uscito dall’Eurogruppo è un accordo nel quale non c’è
scritto assolutamente niente e che lascia troppo spazio alle interpretazioni. Se
ci affidiamo alle dichiarazioni fatte da alcuni capi di Stato alla fine dell’Eurogruppo,
se effettivamente il Mes dà l’accesso alla linea di credito ECCL rafforzata, fino
al 2% del Pil, senza condizionalità e al tasso più basso che esiste, a quel
punto sarebbe da pazzi non farlo. Sono dell’idea che finché non vengono
stabiliti i Memorandum e gli accordi finanziari che stabiliscono le cause del
prestito, è difficile dire sì o no al Mes. Finora è tutta propaganda
strumentale. Credo sia irresponsabile dire sì o no al Mes in termini assoluti, va
tutto ponderato in base a quello che accade.
Come ho spiegato in un articolo scritto
due settimane fa con Giampaolo Galli, poi ripreso anche da TgCom24 e da Forbes,
un Memorandum of understanding con il Mes dovrebbe principalmente prevedere che
le risorse stanziate per far fronte all’emergenza sia siano spese bene.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di garantire che gli interventi a sostegno
dell’economia siano tempestivi, mirati e siano temporanei, cioè non comportino
aggravi permanenti dei conti pubblici. Un piano di rientro dal debito dovrebbe
essere attivato solo dopo la fine dell’emergenza e, date le profonde ferite
sociali prevedibili a seguito della recessione da pandemia, non potrebbero che
prevedere un aggiustamento graduale.
Non voglio dire che bisogna
richiedere solo accesso al Mes per risolvere tutti i problemi, ma se ci
mettessero davanti 35 miliardi con tasso d’interesse bassissimo sarebbe da
stupidi farlo emettendo titoli del debito ad un tasso d’interesse praticamente
doppio.
E qual è, invece, il tuo
pensiero sugli Eurobond? Spiegaci cosa sono, innanzitutto, e quali sono le
differenze con il Mes?
Gli Eurobond sono dei titoli che vengono emessi dall’UE, per i quali garantiscono tutti i Paesi. Non è, però, una mutualizzazione dei debiti, questo perché i Paesi che non hanno problemi di natura economica si sono opposti a tale tipo di procedura, che li avrebbe costretti a “regalare” dei soldi a dei Paesi poco attenti sui conti pubblici. Adesso, invece, si tratta di mettere insieme in un Fondo dell’UE, garantito da tutti gli Stati: l’Unione Europea potrà indebitarsi, fino a un determinato limite, e prestare soldi ai vari Paesi. Sono un’alternativa al Mes e non richiedono le condizioni di eccezionalità. Gli Eurobond sono una possibilità per l’Europa di iniziare un percorso comune dal lato fiscale. Un’UE forte istituzionalmente non può avere una sola moneta e una politica fiscale indipendente in tutti i Paesi. Alcuni sovranisti si lamentano del fatto che la Germania paghi un tasso d’interesse pari a 0, mentre noi all’1,5%: questo perché non abbiamo una politica fiscale comune. Questa possibilità che c’è ora, di essere colpiti tutti da uno stesso shock, ci deve portare a fare uno step in avanti dal punto di vista dell’integrazione fiscale europea.
Secondo me gli Eurobond andrebbero
fatti, ora bisogna capire come farli e in che quantità, come verranno ripresi i
soldi. In questo caso non ci sarebbero condizionalità esplicite come quelle del
Mes ma nessuno presterebbe dei soldi per essere spesi in cose che non hanno senso.
Io sono comunque molto favorevole, penso che sia una, se non l’unica,
possibilità di fare un passo tutti insieme verso una maggiore integrazione.
Quindi, per l’Italia, meglio
il Mes o gli Eurobond?
Io non li vedrei come due cose
alternative, ma complementari. Gli Eurobond non esistono ancora, c’è bisogno di
creare un’istituzione che li emetta, che decida le regole secondo cui devono
essere divisi questi soldi. Per fare gli Eurobond ci vuole tempo. Il Mes già
esiste. Nel comunicato dell’Eurogruppo si dice che le linee di credito light sono
disponibili in due settimane, quindi per uscire dal lockdown il 3 maggio, avere
35 miliardi da subito sarebbe una grande opportunità. Perciò, credo che le cose
vadano di pari passo, una cosa non esclude l’altra. Credo che bisognerebbe
utilizzare tutti gli strumenti disponibili in questo momento. Avere liquidità
immediata subito per interventi tempestivi, non vedo perché debba togliere il
fatto di dover fare Eurobond. Gli Eurobond sono pensati per la ricostruzione
dell’Europa, non per combattere il coronavirus: sarebbero come un “Piano
Marshall 2” fatto dall’Europa.
Secondo te l’Europa è stata
solidale con l’Italia in questa emergenza dovuta all’epidemia da coronavirus?
Dal punto di vista della
solidarietà ho un po’ di dubbi: il fatto che alcune decisioni vengano prese
necessariamente all’unanimità ci fa vedere che basta uno Stato, anche piccolo,
a bloccare un percorso comune voluto dagli altri. Il fatto di dover perdere
tempo perché non si trova un accordo tra i vari Paesi, dato che l’Italia è stata
la prima nazione colpita e aveva bisogno di interventi più tempestivi, non mi
permette di dire che l’Europa abbia fatto il suo dovere. Manca il senso di
solidarietà, ma mi sembra che ci stiamo allenando in proposito. Mi auguro che
questa nuova crisi rappresenti un’opportunità per dopo, perché potremo avere
una struttura istituzionale che potrà emettere Bond e, all’eventuale prossima
crisi, saremo più pronti perché daremo per scontato il fatto che l’UE possa non
dipendere da uno Stato che blocca tutte le decisioni. Dal punto di vista dell’acquisto
dei Titoli di Stato, l’UE è stata solidale con l’Italia perché ne sta comprando
molti più a noi rispetto agli altri Paesi, ma dal punto di vista politico, non
è stata il massimo.
Cosa rispondi a chi, come
soluzione, vorrebbe che l’Italia abbandonasse l’Unione Europea oppure a chi
vorrebbe si tornasse alla Lira?
Questa è un argomento su cui mi
batto spesso, sono soluzioni semplici a problemi complessi. Uscire dall’Europa
significa tornare al 1957, prima del Trattato di Roma, e sarebbe una cosa folle
perché abbiamo come principali partner commerciali la Germania e la Francia. Il
motivo per cui molti vorrebbero abbandonare l’UE è stampare moneta, quindi
abbandonare l’euro. Ma tornare alla Lira, una moneta svalutata e super
inflazionata già allora, soprattutto in un momento di crisi, farebbe collassare
le banche che avrebbero problemi a concedere prestiti. Il fatto di stampare
illimitatamente moneta fa capire che si sta già svalutando tale moneta: qualcosa
più esiste e meno valore ha. Già in tempi normali sarebbe impossibile per l’Italia,
figuriamoci in tempi di crisi.
Ti sei più volte scagliato
contro chi parla e scrive di Economia, pur non avendo gli strumenti e le
conoscenze adeguate per poterlo fare. Cosa vorresti dire loro?
Non è sbagliato informarsi, anzi
è da irresponsabili non farlo, ma prima di parlare di qualcosa e di provare a
dare soluzioni bisogna sapere quello di cui si sta parlando. Il mio consiglio è
quello di informarsi e capire, ma poi non si dovrebbe creare caos, soprattutto
sui social. Ognuno si sente in diritto di poter dire la sua, alla pari degli
altri, su una cosa su cui non si è assolutamente competenti. Alcuni influencer
non dovrebbero condizionare i loro milioni di followers dicendo stupidaggini sull’Economia.
Perché deve dire di sì o di no al Mes chi non sa nemmeno cosa sia? Il problema è
che si popolarizzano materie che, per definizione, non sono popolarizzabili. Non
dobbiamo sentirci in diritto di poter dire la nostra su qualcosa su cui non siamo
competenti, non si può pretendere di poter fare analisi economiche senza aver
studiato anni e avere adeguati titoli di studio. L’Articolo 21 della Costituzione
ci dà la libertà di espressione, questo non significa che dobbiamo dire
necessariamente la nostra su ogni cosa.
Grazie ancora per averci concesso questa intervista Alessandro, buon lavoro e in bocca al lupo per il futuro.