E’ trascorso quasi anno da quando la quotidianità, la società, il nostro micro e macro cosmo sono stati improvvisamente e dolorosamente stravolti da un virus che, in maniera trasversale, ha interessato e colpito quasi tutti. Il 2020 ha segnato purtroppo una linea di confine tra ciò che era la nostra vita prima e ciò che è diventata dopo che il Covid 19 si è infiltrato nel posto di lavoro, nelle famiglie, tra i letti delle RSA, nel respiro e nelle cellule degli anziani, dei soggetti più fragili, ma anche nell’organismo e nei polmoni di chi, invece, non ha mai avuto alcuna patologia, mietendo vittime, falcidiando vite, lasciando dolore e lutti dietro di se’. E’, da quasi un anno a questa parte, che le nostre abitudini, la nostra normalità, il nostro quotidiano sono stati stravolti e ridimensionati, per alcuni versi addirittura azzerati, per far posto ad isolamento, distanziamento, paura, sospetto, talvolta addirittura forme di discriminazione, come se i malati di Covid, oltre a dover lottare contro un nemico subdolo e pericoloso, dovessero pagare lo scotto per aver contratto la malattia. La paura del contagio, l’ignoranza, le informazioni spesso e volentieri distorte e contradditorie hanno contribuito ad alimentare un atteggiamento che stigmatizza coloro che sono risultati positivi al virus, soprattutto nelle piccole realtà. E Martinsicuro, ovviamente, non ha fatto eccezione.
Abbiamo chiesto ad un responsabile di una nota azienda del territorio, la PuntoVerde di Villa Rosa di Martinsicuro, una realtà commerciale consolidata e conosciutissima, di raccontarci la sua recente esperienza.
“Abbiamo un’attività agricola e, da prassi, periodicamente sottoponiamo ai controlli sanitari tutte persone coinvolte nell’attività, compresi noi della famiglia. Ovviamente, visto il periodo, ci siamo sottoposti anche al tampone antigenico per scongiurare il rischio Covid. Purtroppo, però questa volta è stato riscontrato un caso di positività. Come da protocollo sanitario, i tamponi sono stati ripetuti dopo circa dieci giorni, confermando l’esito iniziale. Nel frattempo però, nel periodo intercorso tra i due esami, abbiamo coscienziosamente e responsabilmente chiuso l’attività e qui è avvenuto l’impensabile. Le voci hanno iniziato a rincorrersi forsennatamente e senza alcun fondamento logico. Si parlava addirittura della nostra famiglia interamente contagiata, di componenti che soffrivano, intubati, nei reparti della terapia intensiva degli ospedali della zona… insomma, mentre noi eravamo a casa in quarantena volontaria le voci di paese, nei ripetuti passaggi di bocca in bocca, si arricchivano di nuovi e diversi particolari fino ad edificare un vero e proprio castello di inesattezze e racconti più che fantasiosi. Ma noi eravamo tutti “negativi”, tranne il nostro famigliare che era risultato positivo al tampone e che stava vivendo il decorso della malattia in isolamento. Un giorno un componente della famiglia ha ricevuto una chiamata da un nostro fornitore che, incuriosito e preoccupato, chiedeva conferma delle gravi notizie che giravano in paese. Li per lì a noi tutti, isolati da qualche giorno, è venuto un po’ da sorridere…non immaginavamo certo che quella momentanea assenza dalla vita di paese avesse potuto generare tante e tali false informazioni. Purtroppo però le false notizie avevano raggiunto anche alcune persone a noi molto vicine, parenti ed amici che, allarmati e seriamente preoccupati, ci chiamavano per sincerarsi delle nostre condizioni. Una mia carissima cugina, che avevo sentito qualche giorno prima al telefono, mi contattò in preda la panico: aveva sentito che mi avevano intubato ed ero ricoverato presso il nosocomio di Teramo. Altre voci parlavano di ambulanze e “tute bianche” che, nella notte, erano venuti a prelevarci a casa. Voglio precisare e ribadire che i tamponi che abbiamo ripetuto hanno confermato l’esito negativo dei primi esami. Ma dobbiamo dire di aver ricevuto anche tanti attestati di stima ed affetto da parte dei nostri clienti, che noi amiamo definire “amici”, che ci hanno letteralmente subissato di chiamate e messaggi per sincerarsi delle nostre condizioni di salute. Alcuni di noi lavorano anche in altri settori, come ad esempio la scuola, e sicuramente la ridda di voci incontrollate ed inesatte avrebbero potuto ottenere pessimi risultati nei confronti delle nostre realtà professionali. Alla fine, dopo una settimana di isolamento e chiusura della nostra attività e dopo aver effettuato la sanificazione degli ambienti, abbiamo riaperto le porte dell’azienda agricola. La gioia e la soddisfazione, alla riapertura, nel constatare che l’affetto e la fidelizzazione dei nostri clienti era rimasta pressochè immutata, credo non sia esprimibile a parole…” Questa vicenda spinge ad una seria riflessione per quanto riguarda l’attuale atteggiamento rivolto alle persone contagiate da questo virus. Lo stigma sociale ed ogni forma di discriminazione sono da condannare apertamente. Il Covid 19 è una malattia subdola ed insidiosa che si infiltra inaspettatamente tra le persone, spesso nonostante l’attenzione che si pone nel rispettare il protocollo. “Soprattutto, – continua il responsabile- non bisogna improvvisarsi medici, affrontando con leggerezza e superficialità i sintomi. Dobbiamo essere responsabili per noi e per gli altri. Per finire, come azienda e come famiglia, teniamo tantissimo a ringraziare tutti quelli che, con una telefonata, un messaggio o chiedendo di noi a conoscenti comuni, ci hanno dimostrato il loro affetto e la loro vicinanza”. La discriminazione non aiuta la responsabilità: per paura di essere isolati e stigmatizzati, spesso, si evita di sottoporsi a controlli. La gente che “chiacchiera”, l’allontanamento sociale, la paura del giudizio potrebbe contribuire ai già ingenti e drammatici danni che la pandemia ha provocato. Concludiamo con il messaggio di speranza del nostro interlocutore: “Io credo che, malgrado tutto, potremmo sfruttare questa situazione a nostro vantaggio riempendo, finalmente, di contenuto e significato ogni singola parola che va a sostituirsi ad ogni abbraccio non dato, ad ogni contatto evitato, al calore umano che non possiamo, al momento, manifestare con un atteggiamento fisico. Crisi deriva dal greco crisis , una parola che significa trasformazione: sta a noi decidere quale direzione dare al processo di trasformazione che è in atto, se indirizzarlo verso il rispetto e l’empatia o lasciare che vada tutto alla deriva, come questo virus sta minacciando di fare.”