Gloria Peritore, kickboxer per passione e professione, è nata 31 anni fa a Licata in provincia di Agrigento, il 29 novembre 1988. La sua è la storia di una giovane ragazza profondamente legata alle sue radici, quelle della Sicilia. Terra in cui è cresciuta tra il calore familiare e la passione per lo sport. La pallamano è stato il suo primo grande amore, la kickboxing la sua grande opportunità di rinascita. La luce in fondo al tunnel che l’ha aiutata a ricominciare, dopo uno dei periodi più bui della sua vita in cui ha inflitto l’ultimo K.O. a una relazione tossica, priva di amore e strabordante di possessività. La famiglia e la palestra sono state la ricetta giusta per l’inizio di un percorso tenace e libero. Il suo primo esordio nella kickboxing risale al 2011. Da quel giorno Gloria ha continuato a nuotare senza sosta nell’oceano tortuoso e affascinante dei combattimenti. Prima vincendo il titolo italiano e mondiale amatoriale e poi quello professionistico. Diventa così la prima donna italiana a conquistare il Bellator e a disputare il primo Titolo Mondiale di Bellator nella categoria Flyweight (56.6 kg). Inoltre vince l’Oktagon per ben tre anni consecutivi (2015-2016-2017) aggiudicandosi il primato italiano femminile. Al momento è la campionessa in carica dei mondiali ISKA Oriental Rules Flyweight (52 kg). “The Shadow” è il suo soprannome, dovuto alla sua abilità nell’affondare colpi con estrema agilità. Rapida, imprendibile, sfuggente come un’ombra. Nella vita fuori dal perimetro di combattimento è un solido punto di riferimento nel contrasto alla violenza sulle donne. E proprio in occasione della giornata internazionale ci ha rilasciato una piacevole intervista.
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Spesso ti sei trovata davanti a dei bivi, vittima della paura. Ma hai saputo reagire e sei stata capace a incanalare quel sentimento, a padroneggiarlo e a farne un punto di forza. Qual è il consiglio che daresti alle donne vittime di violenza che vivono nella gabbia della paura?
Il primo consiglio che mi sento di dare è di avere fiducia. Anche quando tutto sembra finito, anche quando si sentiranno davvero sole, perché succederà, succede anche nel quotidiano quindi figuriamoci in una situazione di violenza, soprattutto psicologica. Ci sono molti modi per uscire dal buio: che sia parlare con un amico, con la famiglia, con un estraneo. Ci sono molte associazioni preparate per far fronte a queste situazioni, soprattutto per chi fa fatica a denunciare e aprirsi anche con le persone vicine. Solo chi ci è passato può capire. Spesso non si denuncia e “non si fa il primo passo” anche per motivi più profondi come il senso di colpa (magari quella persona è proprio una persona che amiamo e addirittura a volte giustifichiamo), oppure per il senso di vergogna, vorremmo tanto che non fossimo noi le vittime. Il primo modo per fronteggiare tutto ciò, ancor prima della fiducia negli altri, è avere fiducia in sé stessi e lavorare nel profondo. Bisogna essere davvero consapevoli di meritare la felicità e la libertà.
Ci sono due figure in particolare che spiccano nei tuoi racconti: tuo padre e il tuo maestro. Uno fuori dal ring, l’altro dentro. Per te cosa hanno rappresentato e cosa continuano a rappresentare?
Sicuramente mio padre è uno dei miei più grandi esempi di vita. E’ grazie a lui che ho capito cosa è giusto e cosa è sbagliato, è grazie a lui, che ho capito che meritavo di più, quando mi ero trovata in una situazione che mi faceva stare molto male. Proprio quel padre con cui avevo paura ad aprirmi per vergogna. Lui mi ha guidata verso la soluzione. La kickboxing ha fatto il resto e mi ha aiutata a ricostruirmi, fisicamente e mentalmente. Il mio coach invece, che è anche il mio attuale compagno, è la conferma che quando lotti per quello che vuoi, allora ti circondi e attiri anche le persone che meriti e che ti migliorano e supportano. Bisogna circondarci di persone che vogliono il nostro bene. Insieme a lui sono tornata a combattere con il sorriso dopo un periodo buio della mia carriera, ed è un grande sostenitore dei miei progetti. Come coach, la cosa che ammiro di lui è che da il 100% di importanza a tutti i suoi allievi, il campione e “l’ultimo” arrivato meritano lo stesso rispetto perché si allenano duramente, ognuno a modo proprio, per essere combattenti.
Nell’intervista che hai rilasciato a TV 2000 per il programma “Donne che sfidano il mondo” hai affermato di voler essere nella vita una donna che combatte. Che significato dai alle tue parole?
Sì, ci ho tenuto a specificare che sono una “donna che combatte” e non una “combattente donna”, perché non mi piace essere etichettata. Sono una combattente anche di professione adesso, è vero, ma sono anche tante altre cose.
Riallacciandomi al titolo del programma, tu ti senti una donna che sfida il mondo o che è anche capace di cambiarlo?
Mi sento una donna che sfida le proprie paure e debolezze, e quindi di conseguenza il mondo. Perché parliamoci chiaro, la vita non è facile per nessuno. Per chi vive in situazioni di pressione psicologica, ancora meno. Quindi, diciamo che non posso cambiare il mondo (mi piacerebbe), ma se avrò aiutato anche solo una persona tramite la mia esperienza e “le mie cicatrici” sarò felice. Vuol dire che i miei sforzi saranno serviti anche per altre persone ed è una grande cosa per me.
Sei stata testimonial attiva per tre anni del progetto “Donne in guardia”, nel 2019 sei stata scelta come testimonial della UIL di Palermo per le loro campagne di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne e nel 2020 sei entrata a far parte come socia e testimonial dell’associazione AICS che si occupa di cyberbullismo. Queste sono solo alcune delle iniziative di contrasto alla violenza a cui hai preso parte. A breve presenterai “The Shadow Project”, un’associazione antiviolenza di cui sarai presidentessa. Parlaci di questo tuo nuovo e personale progetto e cosa ti ha spinto a crearlo.
Prima d’ora, mi sono sempre messa a servizio di altre associazioni, enti e progetti, ed ho imparato molto. Ho sentito però il bisogno di intraprendere la mia strada e costituire un’associazione mia, in modo che potessi lavorare al 100% in autonomia e coinvolgere anche altre persone. E’ stato abbastanza difficile per me all’inizio, quando The Shadow Project era solo un’idea, anzi, un sogno nel cassetto. Rispondo già a tante ragazze sulle mie pagine e spesso cerco di creare dei post che possano infondere un po’ di coraggio, di speranza. L’incontro con Sonia Fracassi, vice presidente e co-fondatrice, è stato quindi illuminante: è stato dall’incontro con lei, dalla missione comune che si è concretizzata poi l’associazione. Abbiamo già coinvolto anche Giada Scoccimarro, il Dr. Rosario Scicolone, il Dr. Onofrio Peritore, (mio padre che è un medico e psicoterapeuta), e sono sicura che la famiglia si allargherà presto. Inoltre, con AICS abbiamo intenzione di unire le forze per i prossimi progetti nelle scuole e dal vivo, ad esempio. La fondazione dell’associazione è il primo passo che ci permetterà di portare avanti quello in cui crediamo, a favore di chi vuole fare il primo passo per reagire a determinate situazioni. Non solo di violenza fisica o psicologica, ma anche semplicemente di oppressione da parte di un’altra persona. TSP vuole parlare di sensibilizzazione ma in termini di “ricostruzione e rivoluzione interiore”, tramite lo sport ad esempio, quindi vogliamo abbandonare un po’ la visione di “donna come vittima” da difendere. I nostri messaggi infatti, sono rivolti anche agli uomini. Non si può parlare di prevenzione, parlando solo alle donne. (THE SHADOW PROJECT – Gloria Peritore – the Shadow – Atleta professionista kickboxing ed Mma)
Il tuo percorso da attivista antiviolenza quanto ti ha cambiato? E qual’è il tuo più bel ricordo da attivista?
Riuscire a fare delle proprie “ferite” un punto di forza per aiutare gli altri, è il regalo più bello che la vita potesse farmi. Non è facile spiegare a parole, io funziono molto “a sensazioni”. Quando una ragazza (o un ragazzo) mi scrive per ringraziarmi per un semplice post o frase scritta sui social, definendomi addirittura “un esempio”, mi emoziono ma vorrei fare di più. Capisco che si può e si deve fare di più. Mi sono rivista in tante, tante ragazze che nelle scuole sono venute a parlare con me, che si sono ritrovate nelle mie parole. La maggior parte delle ragazze avevano semplicemente bisogno di qualcuno che facesse “il tifo” per loro, di essere capite e rassicurate.
Molti aspetti di questi eventi mi hanno cambiata nel profondo. Ho tanti bei ricordi. Al mio primo evento di donne in guardia, incontrai una ragazza, sui 18 anni, che veniva picchiata dal fidanzato. Era bianca e pallida, parlava a mezza bocca e poi mi aveva scritto anche sui social ma a un certo punto era sparita. Quel giorno, a donne in guardia, si era allenata con me, avevamo parlato un bel po’ ed io ero rimasta poi per mesi con il pensiero. L’anno dopo, è tornata ad uno dei nostri eventi. Quasi non la riconoscevo: viso luminoso e in carne, grandissimo sorriso e soprattutto, una felicità negli occhi che ho visto raramente. Aveva iniziato a fare sport, era riuscita a fare un percorso interiore molto importante e alla fine lasciare il fidanzato era stata poi quasi la cosa più semplice. Perché quando sai di meritare una vita felice, riesci a chiedere aiuto alle persone giuste. Poi un’altra ragazza ancora, rivista dopo un mese da un mio evento a Salerno, che era riuscita a lavorare su sé stessa per riuscire a coltivare la propria passione che cercava di soffocare a causa del timore del giudizio degli altri: scrivere poesie. Era bloccata per tanti motivi, anche a causa di una situazione familiare pesante e alcuni atti di bullismo a scuola. Veniva molto derisa per questa sua passione. Quella sera non ha avuto nessun problema a leggere le proprie poesie davanti a molte persone, e sono stata molto fiera di lei. In alcune situazioni basta far capire alle persone di non essere sole, tutto qui. Poi impareranno a camminare da sole, anche a me è successo lo stesso e mi succede tutti i giorni.
Nella vita di tutti i giorni sentiamo molto spesso parole denigratorie, insite in espressioni quotidiane, proprie di un linguaggio comune che passa inosservato. Frasi come “una donna con le palle” oppure “piangi come una femminuccia” e assieme a queste luoghi comuni che assoggettano la figura femminile. Ritengo che il rispetto per una bambina, una ragazza, una donna parta anche da qua, da cose che all’apparenza possono sembrare piccole e che fanno parte di un retaggio culturale con radici profonde. Cosa ne pensi a riguardo?
Penso che all’ignoranza bisogna sempre rispondere con grandi sorrisi di superiorità e non perderci troppo tempo. Posso dire che piango come una bambina anche io, ma ho imparato a picchiare come un uomo. Credo che queste forme di linguaggio un po’ sessista facciano ormai parte della quotidianità e le persone le usino senza stare a pensarci troppo, non mi sento di “prendermela” in questo senso. Quando ricevo commenti del genere o frasi fuori luogo, cerco di rispondere con ironia e passare avanti, senza perdere tempo utile.
Se in questo momento di fronte avessi una “mini-te”, di 25 anni fa, che cosa le diresti?
Le direi che merita di essere felice e che non è lei ad essere sbagliata. Perché era questo che pensavo quando ero più piccola. E che dovrebbe ascoltare più le sensazioni interne e rispettarle. Io sapevo che nella mia relazione c’era molto di sbagliato, eppure andavo avanti, come se “meritassi” quel male, come se provassi dei sensi di colpa nei confronti di tutti che non mi facevano reagire. Pensavo a tutti tranne che a me stessa. I manipolatori non sanno che danni sono in grado di fare. Però la cosa bella è che si può reagire. Ascoltandosi, non accettando malumori e mettendo davvero in primis il rispetto per sé stessi, fisico e mentale. Stabilendo delle nostre regole interne e morali che nessuno deve infrangere.