(di Cesidio Colantonio)
Quando uno si chiama Damir è già segnato nella vita. Suona bene. Suona rock. E curiosamente il suo nome contiene l’inizio e la fine di una cosa nuova. Per il calcio italiano che pure di attaccanti ne ha fabbricati a iosa, la fantasia del ventitreenne colombiano, il primo tocco morbido che accarezza lievemente la palla, la corsa devastante con la stessa tra le linee magiche dell’immenso teorema verde è lui. Osserviamolo fintare sulla sinistra e saltare l’avversario sulla destra e viceversa. E’ una presenza pepata che va dove lo porta il suo estro, la sua fantasia, le sue ali aperte. Imprevedibile, lunatico, libero.
Il campo del mio amico Bassi è di un verde magico. Una tappa dei ricordi, degli inizi si diceva alla vigilia. Tutto è cominciato lì, vicino il Mapei Stadium. Immagini idilliache, spesso tra la nebbia che si tagliava col coltello ed un’umidità penetrante e tremante che si infilava dappertutto e che sentivi nelle ossa come i denti appuntiti di un alligatore. C’era prospiciente l’amico treno che appariva e scompariva come un lampo nel cielo sicuro.
Squadre allineate a centrocampo, il cielo è grigio come se tante nuvole avessero lasciato scorie sul pallone e lo stadio vuoto è l’amara conseguenza. Freddo pungente. Mancano i pinguini, ma è questione di attimi. Il presidente solo in tribuna tiene spesso le braccia tese e i pugni chiusi verso il suolo come a scaricare una corrente interna.
Cinque minuti di recupero. L’attesa lieve trattenendo forte il respiro, agitatissima. Al triplice fischio il Mapei Stadium è una muraglia di colori biancoazzurri, di cori, di rumori. Il durante e il dopo. L’attesa, il goal superbo all’ 89 di Scognamiglio che gonfia il sacco, l’euforia, la poesia. Io non faccio poesia, io verticalizzo diceva il professore Scoglio…
Rinascono la valentia e la grazia, invocando le corse prepotenti, vogliose di un attaccante che cerca sempre più campo possibile, volando leggero e rapido sul prato verde. Ci sono giorni, partite in cui i calciatori sono come i colori. Ceter è viola per cui non passa inosservato. Centroavanti, alto alto, finto lento, difficile da marcare come il grande Lukaku. Dotato di un grande fisico, sferico come un pallone di cuoio. Galoppa sovente e freneticamente verso la porta avversaria sbriciolando gli avversari.
Il leitmotiv della gara dopo la prima espulsione di Bellanova sono i lanci superbi di Valdifiori in cabina di regia, vecchio gesto tecnico a destra e sinistra verso Ceter che li prende tutti ferocemente e compiuto il suo dovere tiene le braccia tese verso il suolo come a scaricare il suo patto interno con le emozioni, quasi cupo, con gli occhi della tigre nella manifestazione della gioia. In Brasile uno come lui lo chiamerebbero Maraceter…
Grande partita del Delfino che acciuffa una vittoria in zona Cesarini. La Reggiana piega la testa e incassa la sconfitta come un pugile suonato senza tempo per rimediare, più con la forza dei nervi, scoppiando ogni parvenza di schema. E’ stata al di là del fattore trasferta la vittoria del fattore cuore. Splendido colpo d’occhio finale della partita. Il team è anche questo…
Vittoria preziosa per il morale e l’immagine, oltrechè per la classifica. E’ stata una partita da raccontare, da vivere, da applaudire. Tutto regolare. Il cuore ha sempre ragione. I delfini hanno vinto, ma erano delfini guerrieri, con gli occhi della tigre. In doppia inferiorità numerica hanno scoperto di possedere una fantastica superiorità agonistica.
Come in una quadriglia i quattro biancazzurri che occupavano la prima e seconda linea tiravano i freni all’unisono e curvavano insieme e rilanciavano superando la linea di traguardo.
Si rigioca dopo una sosta e forse gli unici poco soddisfatti saranno i cassieri. Il coronavirus più nebbia più freddo è un cocktail poco piacevole ed indigesto.
Cesidio Colantonio
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