AVEZZANO(AQ)Un 25enne di Avezzano,racconta con nomi e cognomi di titolari senza scrupoli, e delle strutture dove ha operato in Abruzzo e in altre regioni come stagista e dipendente se ce ne fosse bisogno, quanto denunciato a questa testata da Valentino Ciccarelli, chef e docente da venti anni di Enogastronomia settore cucina all’Istituto Leonardo da Vinci dell’Aquila, dove è anche tutor e referente dei progetti di alternanza scuola-lavoro, ovvero gli stage professionalizzanti resi obbligatori per gli istituti professionali dal governo del primo governo di Matteo Renzi, per un minimo di 420 ore, poi abbassate a 220 ore dal secondo governo di Giuseppe Conte.Il giovane si è diplomato al Da Vinci dell’Aquila, ha toccato con mano, e a sue spese, il duro mondo del settore della ristorazione in Italia e in Abruzzo, dove commenta:“Se vivi un una giungla anche tu devi sopravvivere, e non sei certo invogliato a dare il massimo e a sacrificarti, fai il meno possibile e nel peggiore dei modi.E poco c’entra quanto denunciano in modo martellante i titolari, ovvero che non si trovano più dipendenti, perché i giovani preferiscono stare a casa a percepire il reddito di cittadinanza. Con vette sublimi del ristoratore del Nord che si è lamentato al telegiornale che addirittura i giovani gli chiedono in modo impertinente quanto saranno pagati e per quante ore, prima di accettare il lavoro.”Il ragazzo,non ha mai percepito il reddito di cittadinanza e ha avuto il coraggio di dire no a condizioni di lavoro degradanti. Raccontando della sua prima esperienza in Sardegna spiega:“Nell’isola ci sono arrivato con tre colleghi del Da Vinci a mie spese mie, avevo 18 anni . Ci hanno sistemato in una stanza di 10 metri quadrati con il bagno rotto. Il contratto di apprendistato prevede in teoria 15 ore di lavoro al giorno e uno di riposo. Inutile dire che ci siamo ritrovati a lavorare dalle 9 del mattino a mezzanotte, 7 giorni su 7. Di tutor che dovevano seguirti per perfezionare sul campo le competenze acquisite in sala in cucina, neanche l’ombra. E nessuno che controllasse un aspetto non certo secondario del progetto di alternanza scuola e lavoro. Personalmente non ho fatto altro che pelare patate e zenzero, quest’ultimo per un succo di frutta molto gettonato, con ricetta sudafricana. Eravamo costantemente oggetto di insulti e prese in giro. Un ambiente a dir poco degradato e umiliante. Per loro insomma ero sostanzialmente uno schiavo, anche perché del resto non ero retribuito, anche se di fatto ero un lavoratore a tutti gli effetti, con una formazione di ottimo livello che mi portavo dietro dopo cinque anni di istituto alberghiero.Sono stato cacciato in malo modo perché ero andato a protestare con la titolare, dopo essermi ferito con una mattonella rotta in quella sorta di bagno dove ero costretto a fare la doccia. Meglio così, l’unico aspetto positivo è che ho toccato con mano quanto sia fallimentare la Buona scuola, di fatto è solo un’espediente per rifornire in continuazione manovalanza gratuita ristoranti, alberghi e stabilimenti balneari, anche a quelli che fatturano milioni di euro ogni anno, e il personale potrebbero pure pagarselo”.Un’altra esperienza che il 25enne ha vissuto in un nota struttura di nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, anche qui lui dichiara:“Mi hanno fatto il primo contratto della mia vita. E non era niente male, almeno sulla carta: 15 ore a settimana per circa 580 euro netti. Poi però in busta paga ci hanno messo solo 280 euro, il resto me lo hanno dato ‘fuori busta’, di fatto un pagamento in nero per non pagare le tasse. Poi soprattutto mi sono ritrovato a lavorare non certo 15 ore a settimana, ma 12 ore al giorno, anche se questa volta, bontà loro, un giorno di riposo mi è toccato.L’unica possibilità è andartene, preferire la disoccupazione piuttosto che essere umiliato umanamente e professionalmente. Gioca del resto a tuo sfavore l’assoluta assenza di controlli, a regnare tra i datori di lavoro è la certezza dell’impunità. In 7 anni che ho lavorato in Italia non ho mai visto l’ombra di un controllo ispettivo. Dai sindacati siamo totalmente ignorati, non esistiamo, come loro non esistono per noi. Figurati poi se un giovane senza soldi si può permettere di denunciare danarosi datori di lavoro che hanno palesemente violato la legge. Rischi di spendere soldi per l’avvocato e di ritrovarti con un pugno di mosche dopo anni di causa”. Il giovane ragazzo è rimasto senza occupazione, e come tanti giovani italiani e abruzzesi, anche lui ha deciso di fare le valigie per lavorare all’estero poichè le sue esperienze delle migliori che racconta:“Sono andato in Spagna, a Siviglia, dove ho preso servizio come aiuto cuoco nel ristorante di una grande catena che aveva altre 14 strutture. Ho avuto il mio primo vero contratto degno di questo nome: 1.500 euro al mese netti, senza nessun ‘fuori busta’, per 40 ore settimanali e un giorno di riposo. La cosa incredibile è che facevo davvero 40 ore settimanali. È stata anche l’occasione per vedere come funziona un controllo ispettivo, ciascun ristorante ne riceveva in continuazione e non si limitavano a verificare il rispetto delle norme igieniche, ma anche l’eventuale sussistenza di lavoro nero e irregolarità contrattuali. Io sono stato ascoltato più volte dagli ispettori. E nessuno mi ha chiesto di mentire, o di scappare come avviene in Italia, dalla porta del retro. I titolari a Siviglia del resto hanno il terrore dei controlli, perché a chi sgarra lo fanno chiudere immediatamente. Dopo la Spagna, sono stato in Germania,anche qui ho avuto un contratto da 1.500 euro al mese, per 8-10 ore di lavoro al giorno. Spesso lavoravo di più, ma, incredibile a dirsi, visto che ero abituato all’Italia, gli straordinari mi venivano pagati a parte, oppure le ore erano accantonate per le ferie. Sarei rimasto volentieri, in Germania, poi però è arrivata l’emergenza covid e anche per motivi familiari, sono tornato a casa”.Lo stesso ho lavorato in un ristorante dell’Aquila e mi sono trovato benissimo, anche se gli stipendi non erano certo paragonabili a quelli che ho ricevuto in Spagna o in Germania, ed ora sto lavorando come pizzaiolo in un locale della costa, dove finalmente la mia professionalità acquisita all’istituto alberghiero sta dando i suoi frutti in termini di riconoscimento professionale. Il settore della ristorazione e della ricettività alberghiera in Italia è diventata negli anni sempre più una giungla, dove cercano schiavi, non lavoratori degni di questo nome. I datori di lavoro però non perdono occasione di lamentarsi dell’alta pressione fiscale, dei ritardi con cui sono arrivati i ristori covid, degli orari di chiusura anticipati, e via dicendo. Quello che fa più male è che sono tanti i miei ex colleghi di scuola che sono andati a lavorare all’estero. Questo rappresenta un danno enorme per tutto il paese, e anche per il mio settore, perché chiaramente il livello professionale si abbassa progressivamente e sono sempre meno giovani a voler fare questo lavoro, anche se no percepiscono il reddito di cittadinanza, e non gli si può dare certo torto”.