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M'Art

Un cortometraggio made in Abruzzo alla conquista di un festival londinese

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avio cortometraggio abruzzese a lift-off festival londra
Foto di Renato Barattucci.

“Avio – Assenza di vita nell’Intero Organismo”, cortometraggio realizzato in Abruzzo dal regista Mattia Peone, abruzzese al pari del cast e della troupe, è stato selezionato al Lift-Off di Londra, dove gareggerà come miglio corto.

PESCARA – Dopo aver riscosso successo in diversi festival di tutto il mondo ed aver ricevuto premi della critica, per il montaggio e come miglior film muto, “Avio – Assenza di vita nell’Intero Organismo”, cortometraggio realizzato interamente in Abruzzo, gareggerà come miglior cortometraggio al Lift-Off di Londra.

Il corto è firmato dal regista abruzzese Mattia Paone, che ne ha curato anche la sceneggiatura. Pure il cast e la troupe provengono dall’Abruzzo: Alessandro De Gregoriis (Direttore della fotografia), Silvio Scarapazzi (autore della colonna sonora), Ganluigi Antonelli (editing, mixing e mastering), Andrea Paone (attore) e Giorgia Starinieri (attrice).

“Assenza di Vita nell’Intero Organismo” è un film stimolante che esplora le potenziali conseguenze delle azioni dell’umanità. Il film è ambientato in un futuro possibile dove l’umanità ha perso la vista per sua stessa colpa.

Mattia Paone è un regista nato in Abruzzo e vive a Pescara. Crede fermamente nella possibilità di raccontare delle storie nel suo territorio e così ha girato AVIO interamente in Abruzzo, comprese le scene nelle grotte.

Il film fa parte del Lift-Off’s Filmmaker Sessions Online Film Festival, un evento pubblico disponibile tramite la piattaforma Vimeo che mette in mostra il talento dei veri registi indipendenti. Questa è una grande opportunità per gli spettatori di guardare il film comodamente da casa.

Il festival si aprirà il 29 maggio e sarà proiettato per due settimane. Per acquistare i biglietti e guardare il film, gli spettatori possono visitare https://vimeo.com/ondemand/liftoffmay23p1 . Chi guarderà AVIO su Vimeo potrà votarlo per permettergli di accedere alla sessione successiva in cui verrà votato dalla giuria.

Ancona

Stabat Mater, il dolore struggente di Maria nell’opera di Giovanni Battista Pergolesi

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visita scuole teatro pergolesi

ANCONA – Prima di affrontare l’esame critico di un capolavoro che ha fatto molto discutere quale è lo ‘Stabat Mater’ di Pergolesi può sembrare opportuno cercare di comprendere quale fosse lo stato d’animo del compositore al momento della creazione dell’opera. Necessario anche, perché inevitabilmente l’arte è riflesso o riscatto di esperienze di vita.

Pergolesi aveva allora appena ventisei anni. La morte aveva già più volte visitato la sua famiglia e poteva essere temuta come una predestinazione. Contro di lei però egli aveva trovato riscatto nella musica. Ad essa si era dedicato instancabilmente bruciando energie, perché occorreva fare in fretta, molto in fretta prima che sopravvenisse. In soli cinque anni abbondantissima e stupefacente la sua produzione. Ne era stato gratificato, ma ne aveva tenuto un conto relativo, traendone soprattutto  incitamento a continuare.

Non conobbe così la fama e la gloria che sarebbero venute solo a distanza di anni dopo la sua morte: non giustificate quindi, come i più diffidenti hanno ipotizzato, dalla commozione che la sua scomparsa precoce poteva aver suscitato. Oltre la musica però e a sostegno di questa Pergolesi era certo consapevole di aver avuto dal cielo un dono straordinario, testimonianza della grazia divina, sostegno e gioia per lui. Non poteva allora essere triste Pergolesi nemmeno in punto di morte, né inabissarsi nello sconforto né  immaginare il dolore di Maria come uno strazio delirante. Più comprensibilmente pensò ad uno struggimento interiore, alle parole di profonda tenerezza da lei rivolte con trepidazione all’amoroso figlio, a lacrime silenziose, ad un abbandono totale alla volontà divina in cui  fin dal suo primo ‘sì’ aveva creduto.

Da una fede assoluta come la sua non poteva derivare un assoluto, inestinguibile sconforto nemmeno di fronte alla prova estrema. Non poteva dunque essere umana disperazione quella di Maria, ‘figlia di suo figlio’. Fu attendibilmente questo dolore sublimato ad ispirare e a confortare il giovane musicista che si andava spegnendo. Pergolesi compose allora lo Stabat Mater liberamente, a cuore aperto, senza tenere conto di teorie contrappuntistiche e dello stile aulico a cui sembrava che la musica sacra dovesse allora obbligatoriamente attenersi, mentre anche gli attraversava la mente il ricordo di quella che in passato aveva felicemente composto: concludendo infine con un ‘Amen’ che è una fiduciosa, gloriosa, esultante ascensione al cielo. È stata giudicata da alcuni critici opera di ibrida ispirazione: secondo altri invece rivelatrice compiuta di tutta la sua arte.

L’ha definita «sintesi di tutte le passioni dell’uomo, credenti o no» Cristian Carrara,  direttore artistico del Festival, presentando lo Stabat Mater di Pergolesi l’8 settembre nella Chiesa di S. Marco, gremita all’inverosimile da un pubblico che ha coronato di applausi il concerto atteso come evento clou della rassegna. Era annunciato che, nello stesso organico, avrebbe iniziato quale ambasciatore di pace un percorso in Europa partendo da Rodi, dove sarà accolto in ottobre per il ‘Terra Sancta Organ Festival’. Inizialmente altre due composizioni sono state pure ascoltate. Procedendo a ritroso nel tempo la prima è stata ‘O magnum misterium’ di un musicista contemporaneo, Morten Lauridsen, danese; opera, ispirata al mistero del Natale, trascritta sia per orchestra che per organo e coro. Di delicata ispirazione, conformata per scrittura ad un composto stile classico, è intima, serena contemplazione e commossa preghiera. Venne composto invece nel 1938 da Samuel Barber l’Adagio for strings’ su testo dell’Agnus Dei’, concepito inizialmente per coro, poi riportata per orchestra d’archi. Diretto in passato anche da A. Toscanini, ha tratti di un’ardente ispirazione che s’innalza fino a vette sublimi e poi gradualmente si stempera e si spegne. Ed ecco infine lo ‘Stabat’ nell’interpretazione densa di pathos del Time Machine Ensemble, del M° Marco Attura, direttore e compositore molto stimato più volte ospite del Festival Pergolesi Spontini e di due voci ben contrastate e incisivamente drammatiche: quella cristallina del soprano ucraino Nikoletta Hertsak e quella scura, singolarmente profonda del contralto cagliaritano Federica Moi. L’esaltazione di significati apparentemente antitetici ha rimandato non solo all’ universo di emozioni descritto da Pergolesi, ma anche all’autore del testo, Jacopone da Todi, al suo irruento, appassionato carattere e alla sua fervida fede investita di un potente, struggente afflato poetico. Forse all’esecuzione è venuta a mancare una patina di antico per il fatto che il Time Machine Ensemble non suona strumenti d’epoca, ma moderni. Non importa, poiché quella dello ‘Stabat’ di Pergolesi è musica senza tempo.

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Ancona

Michele Placido applaudito alla cerimonia finale del XIX Premio Franco Enriquez

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michele placido alla cerimonia finale del xix premio franco enriquez 2023

ANCONA – La cerimonia finale della XIX edizione del Premio Nazionale Franco Enriquez – Città di Sirolo e Regione Marche, si è svolta, il 30 agosto 2023, alle 21,00, al Teatro Cortesi di Sirolo.

L’intervento di Paolo Larici, direttore artistico della manifestazione e Presidente del Centro Studi Internazionale per la Drammaturgia e del Premio Franco Enriquez, ha sottolineato l’importanza di avere più competenze tra le associazioni addette alla distribuzione e avere più coraggio nella programmazione. Il teatro ha bisogni di scenografi, costumisti, macchinisti, illuminotecnici o light designer, un artigianato ed un’arte che vanno scomparendo. Utilizziamo questi nostri piccoli teatri, come il Cortesi di Sirolo,  per una riforma culturale e professionale, «non dobbiamo avere paura di progetti di alto spessore perché…non esiste un pubblico all’altezza, esiste il pubblico, disposto a mettersi in gioco ogni sera perché curioso e preparato da un’assidua e costante frequentazione, qui la proposta di una card per il teatro e lo spettacolo dal vivo che ne faciliti la fruizione, dobbiamo ripensare ad una formazione dell’ascolto che può avvenire solo proponendo temi e spettacoli di alto valore».

In platea, diverse personalità del mondo della cultura, della politica e dello spettacolo che hanno seguito la cerimonia finale del XIX Premio Franco Enriquez ed hanno applaudito i premiati per il loro impegno civile e sociale. Quello che segue è l’elenco dei premi: Alla carriera Filippo Timi «interprete spiazzante che mescola rabbia e dolore a una esilarante ironia. … Filippo Timi tocca il tema della disabilità mettendo a fuoco l’antitesi tra sogno e realtà, tra una società inclusiva e una società esclusiva e discriminante».  

A Elena Mannini, premio alla carriera, perché ha «arricchito il teatro italiano, la scenografia e il costume…espressione di una natura sinergica di intenti a metà tra arte e artigiano».

Invece, a Vittorio Franceschi, premio per la drammaturgia, «per il suo piccolo capolavoro teatrale, un prezioso gioiello, frutto di un pensiero teatrale consolidato e forte di un’esperienza unica e straordinaria». E ne Il domatore la sua arte diventa una «sinergia introspezione conoscitiva sulla vita e quindi sul teatro».   

Lungo applauso per Michele Placido che ha ricordato la sua esperienza in palcoscenico vicino a Strehler. All’interprete foggiano va il riconoscimento per miglior attore protagonista: «è uno splendido Don Marzio in questa commedia vivace e arguta di Goldoni che ci offre uno spaccato di vita borghese della Venezia settecentesca…Il suo personaggio, una presenza assenza che giustifica le bricconate della sua maschera».

A Corrado d’Elia che «interpreta magistralmente il canto di un Omero e ci pone di fronte al tema della vita e delle origini, da contrapporre alla realtà più spiazzante dei nostri giorni».  

Ad Agnese Fallongo che «ci invita a riflettere sul quotidiano nel privato domestico, attraverso l’analisi e la storia di una famiglia, la propria, quella di tutti i giorni che custodisce segreti e imperfezioni, limiti e disincanti».

A Claudio Casadio: «straordinario attore, ironico e struggente, malinconico, poetico, commuovente».  

A Giorgio Colangeli: «la figura di Benedetto XVI è interpretata da uno straordinario Giorgio Colangeli…L’attore romano ci regala …una grande sofferenza interiore…oltre al quale l’uomo non può addentrarsi  a scapito di una integrità religiosa che si trasformerebbe in superbia».  

A Giancarlo Nicoletti per la migliore regia perché «dirige con maestria una pièce di grande forza emotiva…Lo spettacolo si avvale dell’efficace traduzione di Erba, delle suggestioni scenografie di Chiti e dei costumi di Napolitano e della Mené».    

Ancora, per la fotografia e il cinema, a Lorenzo Cicconi Massi per «la memoria visiva e la visione reale in un tutt’uno».    

A Valter Malosti – la Direzione Artistica di ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione Arena del Sole Bologna- Teatro Storchi – Teatro Bonci di Cesena  – per  «una grande apertura per tutti i linguaggi, immergendosi in prima persona nella materia teatro con il gusto del rischio a favore di una crescita della comunità».

A Mariano Rigillo, per la direzione artistica, sensibile alla nuova drammaturgia. Il suo lavoro esprime «messaggio forte che comunica il senso del fare teatro e che tocca tutte le corde della comunicazione, nel compito difficile oggi ma perseguibile, di un linguaggio onnicomprensivo, dove tutto è o diviene teatro».

All’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, presidente Gianni Letta: «per aver saputo in questi anni riaffermare l’idea di un’arte della drammaturgia e dell’interpretazione in una prospettiva di crescita culturale e professionale rivolta ai giovani studenti che si affacciano…al mondo dello spettacolo».

Il Centro Studi Franco Enriquez ha voluto inoltre ricordare durante la cerimonia della XIX edizione del premio, il “Discorso sulla lettera a una professoressa della scuola di Barbiana e la rivolta degli studenti” diretto da Enriquez nel 1968 alla Biennale di Venezia. Alla Fondazione Don Lorenzo Milani di Firenze riconosce il lavoro di conservazione della memoria, «del messaggio e del patrimonio che la Scuola di Barbiana ha significato e significa per la crescita culturale, sociale e civile del nostro paese».

Il Premio Enriquez 2023 per la letteratura italiana è assegnato a Emilio Isgrò per la raccolta di versi Si alla notte (ed. Guanda). «Isgrò ci riconduce al cospetto di Jacopo da Lentini e alle sue origini siciliane, cesellando, come un fine artigiano, una poesia d’amore struggente». Invece, alla poetessa Gabriella Cinti è andato il premio «per una poesia drammaturgica che riveste un ruolo primario nell’affermazione di un linguaggio che vuole essere protagonista di un teatro».  A Eugenio De Signoribus per la poesia che esprime «tutto l’amore, nel suo limite e nel suo illimite, quando non solo in suoni delle parole ma anche le cose indicate hanno un significato».

Nell’ordine Grandi interpreti: Luciano Biondini, fisarmonicista, (musica Jazz): «ascoltando attentamente si percepisce l’influenza di culture musicali d’oltreoceano, un sapere musicale che sconfina dal classico al jazz, ritmo e melodia e capacità d’improvvisazione che ne fa uno dei più grandi interpreti di questo antico, nobile strumento».  Inoltre, a Rita Marcotulli (musica jazz e contaminazioni): «dalla tastiera del suo pianoforte le note assumono un sembiante variopinto, che ci rimandano a reminiscenze e influenze brasiliane, africane contaminate da profumi indiani e d’oriente». 

Premio a Edoardo De Angelis e Michele Ascolese (musica pop-folk e canzone d’autore): «per aver saputo riproporre la canzone d’autore come fatto necessario e imprescindibile attraverso l’album Il Cantautore necessario2». E a Massimo Germini «per una capacità unica di affermare generi e linguaggi diversi, un chitarrista raffinato e forte di una propria identità. Qualcosa di familiare è un album che rinuncia agli artifizi tecnologici a favore di una intensità emotiva di derivazione popolare…La sorpresa finale è la voce di Germini che si rivela un fine interprete e dotato di una timbrica personale, calda e profonda».

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Ancona

In scena al teatro Cortesi di Sirolo “Il Domatore” di Vittorio Franceschi

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il domatore di vittorio franceschi

ANCONA – Sul palcoscenico del Teatro Cortesi di Sirolo, questa sera, lunedì 28 agosto, alle ore 21:30, va in scena Il domatore di Vittorio Franceschi: un testo teatrale moderno sviluppato scenicamente attraverso l’intervista. Il regista Matteo Soltanto è persuasivo. E gli attori traducono il pensiero suo nella forma più semplice e più limpida che sanno. Vittorio Franceschi e Chiara Degani: due anime che hanno l’istinto di dare sentimenti e ai pensieri l’espressione più piana e più immediata, senza sovraccarico inutile di accenti o di atteggiamenti. Perché anche loro hanno il bel carattere italiano dell’arte sana e limpida. «È difficile parlare di un testo teatrale – dice Vittorio Franceschi – prima che esso abbia preso corpo e voce, gesto e silenzi nello spazio scenico.  Un testo teatrale non è un’opera esatta, finita e immutabile come una scultura o un dipinto al museo o una poesia in un libro».

Il domatore Cadabra, interpretato da Franceschi, è un professionista che addestra animali selvatici, in particolare nella pratica circense o per spettacoli di intrattenimento. Si tratta di un mestiere che richiede grande esperienza e capacità nella gestione e nell’addestramento di animali esotici, come leoni, tigri, elefanti, cavalli o altri animali spesso presenti in uno spettacolo di doma. Il domatore può lavorare sia in teatri o circhi, sia in parchi di divertimento o show itineranti. Il suo obiettivo è quello di creare una nuova relazione con gli animali per poterli addestrare in modo sicuro e responsabile, nonché per realizzare una performance che sia allo stesso tempo divertente e coinvolgente per il pubblico. Tuttavia, la legge che proibisce l’impegno di animali nei circhi, da poco varata, impedisce a Cadabra di lavorare, perciò deve lasciare il circo, metafora della vita. La sua storia sarà raccolta da una intraprendente giornalista, interpretata da Chiara Degani, che racconterà le vicende umane ed esistenziali del “grande domatore”.    

La morale della storia è nel significato delle illusioni perché la verità è spietata. «Sapendo bene che la verità, che è spietata ma ha pietà di noi, se ne resta là, nascosta fra le pieghe di quel sipario che ogni sera, senza nulla rivelare, si chiude… anche quando il sipario non c’è. In questo testo si parla di leoni e di tigri, di clowns e di Santi, di case costruite partendo dal tetto e di grandi amori fuggiti via. E di anime che si incontrano e si scambiano il dolore come pegno. L’unica cosa che dura e non tradisce», ha chiarito Franceschi.

Il testo è stato composto durante la pandemia e pubblicato dall’editore Raffaelli, rappresentandolo in diversi teatri italiani all’età di 85 anni. Lo spettacolo è stato prodotto dalla Fondazione Teatro Due di Parma e Ctb – Centro Teatrale Bresciano. Vittorio Franceschi ha vinto con Il domatore il Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2022 come Migliore novità italiana e il Premio Franco Enriquez 2023 il premio per la drammaturgia pe il suo ultimo spettacolo.

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