Il personale di Polizia Penitenziaria del carcere di Chieti ha sequestrato un quantitativo ingente di stupefacente che un detenuto di rientro da un permesso premio aveva ingerito.
CHIETI – Ha ingerito un ingente quantitativo di droga, nella speranza di introdurre in carcere lo stupefacente, ma lo stratagemma di un detenuto di rientro da un permesso premio non è è passato inosservato agli agenti di Polizia Penitenziaria del carcere di Chieti.
I fatti risalgono allo scorso martedì 9 gennaio. A darne notizia Giuseppe Ninu, segretario per la regione Abruzzo del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: «Il ritrovamento è degno di lode e vanto per tutto il personale di polizia penitenziaria, coordinati e supportati dal Primo Dirigente Alessandra Costantini, solo con la perseveranza e la costanza di controlli mirati alla conoscenza dei soggetti da custodire e responsabilizzare, hanno saputo individuare, tra tanti, il detenuto prestatosi ad introdurre in carcere sostanze stupefacenti, e data la quantità, indubbiamente, a fini di spaccio».
Ninu evidenzia che «l’attività, protrattasi per alcuni giorni, sempre nel rispetto delle leggi penitenziarie e della dignità umana, fa emergere, ancora una volta, la finalità del lavoro della Polizia Penitenziaria: garantire la sicurezza, interna ed esterna agli istituti detentivi e restituire alla società uomini più consapevoli».
Donato Capece, segretario generale del SAPPE, evidenzia che «il primo e più rappresentativo Sindacato della Categoria, il Sappe, torna a richiamare l’attenzione dei vertici regionali e nazionali dell’amministrazione penitenziaria affinché vengano date risposte concrete, alla risoluzione delle problematiche in atto nel penitenziario di Chieti, anche dotando le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, da sempre in prima linea sul fronte dell’ingresso e possesso di droga in carcere, di adeguati strumenti tecnologici di controllo». «Il problema dell’ingresso della droga in carcere – afferma il leader del SAPPE – è questione ormai sempre più frequente, a causa dei tanti tossicodipendenti ristretti nelle strutture italiane. Rispetto a tale problema bisognerebbe fare molto di più, seguendo l’esempio del carcere di Rimini, dove da tanti anni esiste un piccolo reparto, con 16 posti, dedicato a soggetti tossicodipendenti, i quali sottoscrivono con l’amministrazione un programma di recupero, impegnandosi a non assumere sostanze alternative, come il metadone, a frequentare corsi di formazione, a lavorare».
«Superato questo percorso iniziale – aggiunge – vengono poi destinati alla comunità esterna e quasi tutti non fanno più ritorno in carcere, riducendo la recidiva quasi a zero. Peraltro, esiste una legislazione molto favorevole che consente a coloro che hanno superato, o abbiano in corso un programma di recupero, di uscire dal carcere. Questa è la strada da seguire per togliere dal carcere i tossicodipendenti e limitare sempre di più l’ingresso di sostanze stupefacenti, unito ovviamente a tutte le attività di prevenzione, come l’utilizzo delle unità cinofile che sono anch’esse fondamentali nel contrasto dei tentativi illeciti e fraudolenti di ingresso e smercio di droghe in carcere».