A Chieti un agente intervenuto per sedare una rissa in cella ha ricevuto un violento colpo al volto, mentre a Pescara un collega è stato colpito da una testata da un detenuto che aveva appiccato un fuoco.
PESCARA – Due agenti di Polizia Penitenziaria feriti in due giorni, nel carcere di Chieti e in quello di Pescara. Nel primo, si tratta della seconda aggressione ad un agente avvenuta nel giro di due settimane. Ed i sindacati continuano a lamentare sovraffollamento delle strutture, carenze di organico, personale costretto a turni massacranti e continui trasferimenti in Abruzzo di detenuti violenti e facinorosi.
Lunedì 29 luglio un poliziotto è rimasto ferito in seguito ad una rissa tra detenuti nel carcere di Chieti. Due gruppi di italiani e magrebini della sezione riservata ai detenuti comuni sono venuti alle mani. Per riportare l’ordine sono intervenuti l’Ispettore di Polizia Penitenziaria addetto alla sorveglianza generale ed il Sovrintendente di preposto. I riottosi hanno acconsentito a far ritorno nelle proprie celle, ad eccezione di due. Uno di loro brandiva una lama, minacciando di morte chi si avvicinava.
Quando sembrava che si fosse calmato, ha scagliato improvvisamente un violento colpo al volto di un poliziotto, che lo ha scaraventato a terra. «A Chieti è la seconda aggressione in due settimane: lo scorso 15 luglio una collega è stata aggredita da una detenuta, riportando una prognosi di 10gg, con problemi psichici come il detenuto magrebino», spiega Giuseppe Ninu, segretario per l’Abruzzo del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, Sappe. «La casa circondariale di Chieti, che è a trattamento intensificato, ha una capienza di 90 detenuti e ad oggi ne contiene 140 circa. Il PRAP Lazio Abruzzo e Molise di Roma continua ad inviarvi detenuti facinorosi e violenti spesso psichiatrici e che nulla hanno a che fare con il trattamento intensificato».
Il giorno successivo ai disordini verificatisi a Chieti, a Pescara la conta degli agenti rimasti feriti in carcere è salita a due: il personale di Polizia Penitenziaria è intervenuto nella cella dove un detenuto albanese aveva appena appiccato un fuoco, dopo un colloquio con il magistrato di Sorveglianza. Il detenuto è stato portato in infermeria e qui ha prima cercato di aggredire un agente, poi ha scagliato una potente testata ad un altro, il quale ha riportato un trauma cranico ed un’intossicazione da monossido di carbonio dovuta all’incendio. Fortunatamente, i colleghi hanno spento le fiamme prima che potessero propagarsi.
«Bisogna intervenire con celerità, a tutela dei poliziotti penitenziari, orgoglio non solo del Sappe e di tutto il Corpo ma dell’intera Nazione» afferma il segretario generale del Sappe Donato Capece. «Nel Distretto penitenziario Lazio-Abruzzo-Molise, nel solo primo quadrimestre del 2024, sono stati registrati una marea di eventi critici tra le sbarre delle carceri: 254 resistenze ed ingiurie, 23 proteste collettive rumorose con battitura, 5 rifiuti di rientro in cella. Ben 91 i poliziotti feriti con prognosi fino a 7 giorni, ai quali bisogna aggiungerne 20 con prognosi fino a 20 giorni.
Capece spiega di aver avuto lunedì un colloquio a Roma con il Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Antonio Tajani, al quale ha evidenziato le problematiche che attanagliano il Corpo di Polizia Penitenziaria: carenza di organico; aggressioni al personale di Polizia penitenziaria; adeguamento delle risorse contrattuali; dotazione del Taser e della tecnologia a supporto della sicurezza.
Il leader del Sappe ha evidenziato i problemi connessi alla gestione dei detenuti stranieri («da espellere per scontare la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza”), di quelli tossicodipendenti e degli psichiatrici, che non dovrebbero stare in carcere ma in Comunità adeguate: «La loro presenza comporta da sempre notevoli problemi sia per la gestione di queste persone all’interno di un ambiente di per sé così problematico, sia per la complessità che la cura di tale stato di malattia comporta. Non vi è dubbio che chi è affetto da tale condizione patologica debba e possa trovare opportune cure al di fuori del carcere e che esistano da tempo dispositivi di legge che permettono di poter realizzare tale intervento».
Infine, Capece ha ribadito la necessità «di potenziare gli uffici per l’esecuzione penale esterna attraverso le articolazioni territoriali della Polizia Penitenziaria, con personale opportunamente formato e specializzato». «Di fatti, secondo il Sappe, è proprio questa la mission futura dell’esecuzione penale, che dovrà concentrare tutti i propri sforzi sulle misure alternative alla detenzione che si prevede potranno interessare decine e decine di migliaia di affidati», conclude.