Da Il Martino cartaceo n. 10 del 30.5.2016
Samb contro Ascoli, rossoblù contro bianconeri e viceversa.
Un incontro di calcio, un “derby” che manca esattamente da trent’anni, dall’estate del 1986.
Eppure ogni anno che trascorre, ogni stagione che termina è come se questa gara venisse giocata regolarmente sul campo, tanta è l’attenzione che i sostenitori dell’una e dell’altra sponda rivolgono alle sorti del rispettivo avversario.
Infatti, a sopravvivere in questi ultimi trent’anni sono solo gli sfottò a distanza, nel ricordo dei veri scontri del passato, sugli spalti e fuori dal rettangolo di gioco.

Sfottò rossoblù anni 60-70. Rotonda di San Benedetto
A testimoniare la grandezza e l’unicità di questa gara è un personaggio del calcio che il derby l’ha giocato sull’erba, sponda Ascoli: il romano Carletto Mazzone, discreto difensore da calciatore e poi affermato allenatore, lanciato nell’avventura panchinara dal presidente bianconero Costantino Rozzi.
A chi gli domanda quanto fosse duro e cruento il derby del “cupolone” (Roma-Lazio), il tecnico romano risponde di aver giocato incontri campanilistici ben più accesi, proprio quelli tra la Samb e, al suo tempo, la Del Duca Ascoli.
Eh sì, ha ragione Carletto, Samb-Ascoli nella sua storia è stato sempre un derby vibrante, acceso, combattuto, sempre ricco di forti emozioni.

Ingrediente principale è l’aria campanilistica, quella che si respira a livello sociale e che va al di là del momento sportivo calcistico. Un “astio” di matrice geografica, logistica, di vicinanza territoriale, l’esplicazione pratica del detto “l’erba del vicino è sempre più verde”.
La città-capoluogo, Ascoli Piceno, contro la seconda del territorio provinciale, San Benedetto del Tronto; quella dei monti contro quella del mare; politicamente, a livello di tifo, quella più spostata a destra contro quella più a sinistra; quella “scolorita” (bianconera) contro quella caldamente “a colori” (rosso come il sangue e il vino, blu come il mare cittadino).
Come spesso succede tra vicini si litiga e ci s’imbecca, soprattutto quando poi ci si trova quotidianamente a convivere anche nei posti di lavoro, professando ciascuno la fede per la squadra della propria città.
Sono gli ascolani a trovarsi nella condizione d’inferiorità calcistica per lunghissimi anni fino alla stagione 1972/73, quando i bianconeri toccano per la prima volta la serie B grazie al fiuto e all’intraprendenza del presidente Rozzi (uno dei pochi ascolani compiaciuti ai sambenedettesi) che all’epoca seppe copiare il “modello” organizzativo e tecnico dei rossoblù, chiamando alla sua corte diversi giocatori e allenatori provenienti dalla Samb, sbarcata in serie B già sedici anni prima, nel 1956/57, quando i cugini ascolani annaspavano nel quinto livello calcistico di marca dilettantistica (Promozione Marchigiana).
Un derby sempre molto sentito anche dagli atleti che non ne vogliono perdere uno, come quello del 1940, con i rossoblù che pur non allenandosi, di ritorno dalla licenza del servizio militare, battono stoicamente i cugini: festa grande in riviera dove i bianconeri non hanno mai vinto.
Nel 1947/48 la Samb si aggiudica entrambi gli incontri, 1-0 in casa con un gol su calcio di rigore di Armando Rosati (fratello di Tom) e, con un gol vittoria di Sirio Santi a tre minuti dal termine, 3-2 allo “Squarcia”, teatro delle sfide ascolane fino alla costruzione del campo sportivo “delle Zeppelle”, attuale “Cino e Lillo Del Duca” (dal maggio 1962). Le due compagini per quasi un ventennio si perdono di vista a causa dello strapotere assoluto dei rossoblù che calcano categorie ben più alte.
Si “ritrovano” verso la metà degli anni ’60 con gare sempre più cruente e combattute, sul manto erboso e fuori.
Memorabile l’invasione di campo dei tifosi rossoblù al “Del Duca” il 1° ottobre 1970 per un rigore inesistente decretato da Vito Porcelli di Lodi a favore dei locali e poi trasformato dall’ex Abramo Pagani: i sambenedettesi, inviperiti, abbassavano la rete di recinzione entrando in massa sul terreno di gioco, contrariati per l’ingiusta decisione del direttore di gara.
Solo il massiccio intervento delle forze dell’ordine riusciva a respingere la furia dei supporters rossoblù.

1° marzo 1970. Stadio Cino e Lillo Del Duca. Invasione di campo dei tifosi rossoblu
Episodi drammatici accaduti anche in campo, come quello del 14 febbraio 1965 al “Ballarin” quando uno scontro fortuito tra l’attaccante rossoblù Alfiero Caposciutti e il portiere bianconero Roberto Strulli costava la vita a quest’ultimo, deceduto all’alba del giorno seguente nell’ospedale civile della località rivierasca.
Contrariamente a quello che affermano gli ascolani, il popolo sambenedettese si strinse attorno alla famiglia del povero Roberto che lasciava una moglie giovanissima e in attesa del primogenito che oggi porta il nome del suo sfortunato papà; i tifosi bianconeri invece, dopo la tragedia del “Rogo Ballarin” del 7 giugno 1981 (morirono due giovani ragazze rossoblù di 23 e 21 anni e un centinaio di tifosi rimasero ustionati), ebbero la faccia tosta di esporre al “Del Duca” il becero e vergognoso lenzuolo: “7 giugno: sagra del pesce fritto”.
Ecco, la diversa etica dei due popoli si va delineando e si conferma quando nel derby del 3 aprile 1977 in Ascoli, Rozzi invita le famiglie sambenedettesi ad assistere ad un “derby di pace” per poi essere bersagliate sugli spalti da un vigliacco lancio di arance “lamettate” (rivestite di lamette).
Nell’ultimo scontro giocato al Riviera sono invece i sostenitori rossoblù che “vis à vis” affrontano la fazione avversa “a pesci in faccia” (come all’indomani avrebbe titolato a riguardo il settimanale “Il Guerin Sportivo”).

E i detti popolari come al solito sbagliano di poco: del popolo sambenedettese si dice che “…nella mediocrità delle Marche, si erge a faro….., forte, intelligente e facile alla RISSA…” mentre di quello ascolano che “tira lu ciutte (il sasso) e nasconde la mano”…
Dunque, due popoli eticamente distinti, come possono andare d’accordo tra di loro?
Aspettando un derby sul campo, l’astio sportivo continua (sperando senza danni e solo a livello goliardico e di sfottò) ma, oggettivamente (togliendomi di dosso ogni scoria di appartenenza calcistica), viste le ultime manifestazioni sugli spalti e nelle vie cittadine, la tifoseria vincente è quella “a colori”…
Ciò narrano i fatti ma, comunque, non si faccia “di tutta l’erba un fascio”.
Auguriamoci, tra cugini, che il derby torni presto sul rettangolo verde, possibilmente nelle categorie più alte!!!